di Damiano Aliprandi, Il Dubbio, 14 aprile 2021
Dal primo aprile 2008 la salute delle persone detenute è divenuta formalmente una competenza del Servizio sanitario nazionale e si è venuta così a sanare una delle tante anomalie normative che riguardano la gestione della vita penitenziaria.
Ma ad oggi, come d’altronde viene certificato anche dai magistrati di sorveglianza tramite la relazione resa pubblica da Il Dubbio, questa anomalia è stata superata esclusivamente sul piano formale. Nella materialità della detenzione permangono sostanziali criticità che ostacolano una piena affermazione dell’equivalenza delle cure, principio cardine della riforma stessa.
Apprendiamo dall’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone che nel 2019 c’era un solo medico di base in ogni carcere per ogni 315 detenuti, per un totale di 1.000 medici di base e di guardia nei circa 200 istituti di pena italiani. Troppo pochi per garantire un servizio adeguato. Il 70% dei medici è precario. Ovviamente, il numero varia da carcere a carcere a seconda della capienza della struttura, ma in media, come si è detto, è presente un medico ogni 315 detenuti. In alcune realtà manca addirittura il medico di base.
L’esperienza della detenzione è già di per sé un rischio per la salute, per le condizioni degradate di strutture, celle e spazi comuni, per il sovraffollamento e l’elevato turn over delle persone detenute e quindi per il maggiore rischio di contrarre malattie infettive. Occorre tener presente che le condizioni di vita negli istituti di detenzione, particolarmente inadeguate per affrontare una crisi pandemica di questa portata, possono agire come fattori altamente stressanti e aggravare una situazione già critica a causa dell’isolamento forzato in un contesto di coabitazione altrettanto forzata.
Sempre da Antigone, si evince che tra i detenuti è maggiore: la prevalenza di Hiv, Hcv, Hbv e tubercolosi rispetto alla popolazione libera, principalmente a causa della criminalizzazione dell’uso della droga e la detenzione di persone che ne fanno uso (la prevalenza di infezione da Hiv tra i detenuti è del 4,8%, contro lo 0,2% della popolazione in generale; l’incidenza della tubercolosi è maggiore di 23 volte rispetto a quella della popolazione in generale); la probabilità di contrarre patologie anche negli individui sani. L’aumento del rischio riguarda non solo le infezioni quali Hiv e Hcv, ma anche la possibilità di sviluppare dipendenza da sostanze psicotrope o di ammalarsi di disturbi mentali, in misura maggiore rispetto all’incidenza delle stesse patologie nella popolazione generale.
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