Un anno per cancellare l’ergastolo è troppo, cari politici sbrigatevi

di Sergio Schlitzer, Il Riformista, 24 aprile 2021

L’attesa è finita. La Corte si è pronunciata. La vigente disciplina dell’ergastolo ostativo è contraria alla nostra costituzione e all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta i trattamenti inumani e degradanti. Una decisione sicuramente importante, attesa quantomeno dal 2019, che porrà fine a una disciplina indegna e inaccettabile per qualsiasi Stato autenticamente democratico, e che darà finalmente speranza (solo) a chi in carcere ha trascorso alcuni decenni, molti in regime di 41 bis, nel corso dei quali ha effettivamente e autenticamente rivisto il proprio vissuto.

Eppure questa sentenza racconta anche un’altra verità. Una verità difficile da reggere e accettare per un giurista sincero, per tutti coloro che amano appassionatamente il Diritto: la lotta in difesa dello Stato di diritto è persa! Anche l’ultima difesa, quella che speravamo insormontabile, è caduta. Sono bastate due righe contenute nella comunicazione della Corte Costituzionale per sancire la disfatta: l’ergastolo ostativo è sì un trattamento inumano e degradante, come tale costituzionalmente illegittimo, ma la sua incostituzionalità non può essere dichiarata, quantomeno sino a maggio 2022, per consentire al legislatore di intervenire normativamente tenendo conto sia della particolare natura dei reati connessi alla criminalità di stampo mafioso sia della “necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia”.

Dunque, anche per la Consulta, la lotta al fenomeno mafioso, rispetto alla quale la collaborazione con la giustizia assurge addirittura a valore da preservare, legittima, anche se per un tempo limitato ma tutt’altro che breve, l’ulteriore protrarsi nel nostro Paese di una disciplina inumana e degradante che viola la dignità di tanti esseri umani presenti nelle nostre carceri. E poco conta che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia categoricamente e ripetutamente escluso che esigenze di prevenzione generale, anche se connesse a fenomeni criminali di grave allarme sociale, possano legittimare deroghe all’articolo 3 della Convenzione. Né rileva il protrarsi dell’inerzia del nostro legislatore che, nel corso di questi ultimi due anni, si è ben guardato dall’adottare qualsivoglia atto teso a riformare la disciplina dell’ergastolo ostativo così come raccomandato dalla sentenza Viola.

Nemmeno importa il grave ritardo con la quale la Consulta ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale di una disciplina contro l’uomo e la sua dignità, in vigore da quasi venti anni. Su tutto questo prevale l’esigenza di preservare il “valore” della collaborazione quale strumento principe della lotta alla mafia, che evidentemente si teme possa essere indebolito anche dalla sola remota possibilità che dopo (almeno) una trentina di anni di carcere (solitamente al 41 bis) e la sussistenza di altre tassative condizioni, il condannato per mafia possa riacquistare la libertà.

Certo, è giusto attendere le motivazioni della Corte per un giudizio più compiuto, ma in verità il principio di fondo è chiaro. Ed è l’epilogo della storia di questi ultimi anni, nel corso dei quali primari valori costituzionali e convenzionali hanno perso progressivamente senso e vigore, sotto i colpi di modifiche normative adottate all’insegna delle contingenze e dei fatti di cronaca del momento, debitamente strumentalizzati dalla politica a fini di consenso elettorale e dalla stessa magistratura inquirente impegnata a preservare i propri poteri. Il tutto condito e amplificato da un’informazione prona al potere che ha smarrito ogni funzione pedagogica.

Basti pensare alla legge “spazza-corrotti”, alla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche, alla sostanziale abolizione della prescrizione, alle riforme del processo penale, ai provvedimenti emergenziali per ragioni epidemiologiche, ai decreti sicurezza e così via.

Un incessante logorio dei nostri valori giuridici e culturali di riferimento, di quei valori inerenti la tutela della dignità umana senza se e senza ma, la finalità rieducativa della pena, il giusto processo e la sua ragionevole durata, la riservatezza e segretezza delle comunicazioni, la libertà di circolazione, la proporzionalità e adeguatezza della sanzione: valori nei quali oggi si riconoscono le moderne democrazie occidentali e che nel nostro Paese nemmeno la Corte Costituzionale sembra più in grado di preservare con efficacia.

La verità è inconfutabile. Le forze giustizialiste hanno definitivamente trionfato. Così, in questa notte buia e piena di terrori della cultura giuridica italiana, nella quale imperversano “bulli del diritto” (per citare Mattia Feltri), nella loro resistenza in difesa della libertà e dei ditti fondamentali, ai giuristi sinceri non resta che confidare nell’alleato straniero, forse l’ultima autentica Corte delle libertà e dei diritti dell’uomo.

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