La tutela della salute psichica

di Ilaria Boiano, Università di Roma Tre

Una particolare riflessione merita la tutela della salute psichica del detenuto che riguarda il più ampio tema dell’infermità mentale affrontato nel dibattito e nella contrapposizione tra la Scuola Classica e la Scuola Positiva che ha condotta alla costruzione del sistema del doppio binario nel quale la pena è contrapposta alla misura di sicurezza.

L’ambito di rilevanza della malattia psichiatrica è molto ampio poiché riguarda non solo la fase dell’accertamento del fatto di reato, dell’imputabilità e della capacità di intendere di volere al momento del fatto e dunque la conseguente risposta dell’ordinamento, ma si estende anche alla fase dell’esecuzione della pena. È innegabile, infatti, che sia nei confronti di soggetti affetti da patologia non incidente o solo parzialmente incidente sulla capacità di intendere e di volere sia per l’insieme della popolazione detenuta, la privazione della libertà personale costituisce un fattore ulteriore di rischio per la salute psichica.

Ciò era ben chiaro già legislatore del 1975 che aveva stabilito all’articolo 11 co. 2 ord. pen. che ogni istituto penitenziario doveva avvalersi dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria.

L’inadeguatezza del sistema di tutela della salute psichiatrica è stata affermata con il riordino della medicina penitenziaria e il superamento del modello degli ospedali psichiatrici giudiziari affermando come principio generale la necessità di soluzioni alternative al carcere per tutti coloro che non rientrano nella logica delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, e di affrontare il problema dell’assistenza psichiatrica in chiave preventiva.

L’articolo 65 ord. pen. prevede “gli istituti per infermi e minorati”, ossia sezioni speciali riservate ai soggetti condannati o imputati che a causa del loro stato di salute sono bisognosi di un trattamento dedicato. Negli istituti di pena si è diffusa la prassi di denominare queste sezioni “articolazioni sanitarie”.

La risposta dell’ordinamento rimane inadeguata in un sistema che si fonda su principi costituzionali e sovranazionali per i quali il carcere non può che costituire l’estremo rimedio nei confronti dei condannati con infermità psichica.

Sul tema è intervenuto anche il Consiglio Superiore della Magistratura con due delibere del 19 aprile 2017 e del 24 settembre 2018 contenenti direttive interpretative e applicative in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari ed istituzione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza di cui alla legge numero 81 del 2014.

La legge delega numero 103 del 2017 dedicava una parte dedicata ai principi in materia di sanità psichiatrica con l’obiettivo di lavorare sulla sanità penitenziaria in generale e prevendendo l’istituzione di un presidio del dipartimento di salute mentale adeguato alle singole strutture penitenziari nonché delineando percorsi terapeutici alternativi al carcere[1].

Purtroppo, soltanto una parte della delega relativa alle disposizioni sanitarie è stata attuata e nulla è stato previsto in ordine alla salute psichiatrica, anzi la formulazione dell’art. 11 co. 2 ordinamento penitenziario è rimasto addirittura monco del riferimento all’obbligo di disporre dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria.

Neppure è stato posto rimedio all’esclusione della malattia mentale tra le cause di differimento dell’esecuzione della pena di cui agli artt. 147 e 148 c.p. e 47 ter ord. pen.

La Corte di cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 47 ter comma 1 ter ord. pen. e la Corte costituzionale con sentenza 20 febbraio 2019, n. 99 ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui non prevede che nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui all’articolo 47 ter co. 1 ter ord. pen.: per il Giudice delle leggi la mancanza di qualsiasi alternativa al carcere per coloro che durante la detenzione siano colpiti da una grave malattia mentale anziché fisica crea un vuoto di tutela del diritto fondamentale alla salute e costituisce un trattamento inumano e degradante poiché provoca una sofferenza così grave che, cumulata la privazione della libertà personale, determina un sovrappiù di pena contrario al senso di umanità, tale da pregiudicare ulteriormente la salute del detenuto.

Foto di Polina Zimmerman da Pexels


[1] Pelissero M., Salute mentale e carcere: una necessità dimenticata, in questionegiustizia.it, 2018.

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