Si approvi la legge per “liberare” i bambini detenuti con le mamme

di Elisabetta Rampelli, Il Dubbio, 10 aprile 2021

Sin dal 2018, dopo i tragici fatti di Rebibbia, quando una madre ha ucciso in carcere i suoi due figli, e il Consiglio d’Europa ha emanato linee guida a tutela dei diritti e degli interessi dei bambini dei genitori detenuti, ci siamo impegnati in dibattiti con avvocati, politici, psicologi e psichiatri, magistrati minorili, rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria e della polizia penitenziaria, per trovare soluzioni al paradosso di un sistema che prevede la presenza dei figli minori in carcere, nonostante esistano già norme che, se estensivamente applicate, potrebbero evitarlo.

Norme affidate al volontariato, poiché la loro attuazione non deve pesare sui Bilanci dello Stato. Strazianti le storie di vita vissuta emerse durante quegli incontri. Memorabile la storia del primo incontro di un bambino con il mare e con la sabbia, la sua incapacità a camminare a piedi nudi. Dura la sensazione di essere di fronte a una forma di crudeltà.

Unanime il verdetto finale: implementare quelle regole e quei principi già contenuti nella legge Gozzini e nella legge 61/ 2011, per rendere effettiva la tutela dei figli delle detenute o dei detenuti. E allora, oggi, non possiamo che salutare con soddisfazione la proposta di legge C. 2298 Siani, finalizzata a tutelare i minori e anche il loro rapporto con le madri detenute, e che modifica la disciplina e le modalità esecutive delle misure cautelari (artt. 275 e 285- bis, art. 293 c. p. p.), per evitare l’applicazione della custodia in carcere alle madri con prole di età inferiore ai 6 anni, prevedendo al contempo la possibilità – solo in caso di esigenze di eccezionale rilevanza – che il giudice disponga la custodia negli Icam. Interviene anche sul rinvio dell’esecuzione della pena, prevedendo un più ampio ricorso al beneficio, attraverso l’innalzamento dei limiti di età della prole, legittimandolo (artt. 146 e 147 c. p.).

Incide sulla disciplina delle case famiglia protette prevedendo l’obbligo (e non più la facoltà) per il Ministro della giustizia di stipulare, con gli enti locali, convenzioni per individuare le strutture idonee, eliminando la clausola di invarianza finanziaria e sancendo l’obbligo, per i comuni, di adottare gli interventi necessari a consentire il reinserimento sociale delle donne una volta espiata la pena detentiva. Un altro segnale importante attesta il riaffiorare della sensibilità sull’argomento: nel 2018 i bambini a seguito delle madri ristrette erano 69.

Ma al 31.3.2021 il numero è sceso a 26 madri con 28 figli, secondo il monitoraggio mensile del ministero di Giustizia. Ancora troppi. Dobbiamo impedire che anche un solo bambino sia sottoposto all’esperienza traumatica della privazione della libertà. Il traguardo da raggiungere è che il bambino non sia privato dell’affetto e delle cure materne, per tutelarne la salute e la crescita emotiva e sociale. Il Garante nazione delle persone private delle libertà, in una relazione al Parlamento ha scritto: “La presenza di infanti che trascorrono i primi mesi se non anni della propria vita, proprio i più decisivi per la formazione, in un contesto come quello del carcere rappresenta di per sé un grave vulnus.” E se alcuni Istituti si sono attrezzati con sezioni o stanze nido che ruotano attorno alle esigenze primarie del minore, altri non dispongono di nulla: reparti detentivi classici, talvolta anche in cattive condizioni, con carenza perfino di lettini adatti, e nei quali i bambini vivono in promiscuità con le altre detenute.

Il Garante ha sottolineato: “Per questi bambini, che imparano a parlare all’interno del carcere, che acquisiscono familiarità con parole come blindo o passeggio, che vedono il cielo attraverso finestre con sbarre, che sono separati dai fratelli e dai padri e che al compimento del terzo anno di età come regalo ricevono la separazione tanto improvvisa quanto dolorosa dalla madre con cui hanno vissuto in simbiosi fino a quel momento, per questi bambini costruire un rapporto positivo con le Istituzioni sarà molto difficile”.

È giusto non interrompere quel rapporto filiale che l’ambiente carcerario non aiuta, e che può diventare un rapporto malato, in cui il bambino è “iper-accudito” poiché sconta una totale dipendenza dalla madre, e soffre l’influenza istituzionale che anche a lui impone rigide regole di comportamento. L’istituzione si sostituisce alla madre in tutte le sue attività esterne, come le passeggiate o gli accompagnamenti al nido.

Ed è corretto che permanga la clausola dell’eccezionale gravità cautelare per contemperare le esigenze di sicurezza pubblica con i diritti del minore, e scongiurare strumentalizzazioni del nuovo regime. Punto critico della proposta è, solo, l’art. 1 co. 3, che demanda l’accertamento dell’incompatibilità carceraria agli Ufficiali di P. G. incaricati di eseguire l’arresto.

Sarebbe meglio prevedere una preistruttoria, durante la quale verificare le condizioni familiari del soggetto da sottoporre alla misura. In sostanza, è urgente realizzare case famiglia protette, è necessario prevedere che operatori sociali aiutino il percorso riabilitativo della madre e si occupino di coadiuvarla nell’educazione del figlio, per garantire al bambino una vita normale ed evitare che, sin dalla tenera età, sviluppi risentimento nei confronti dello Stato e delle Istituzioni, o coltivi il germe della criminalità. Anche attraverso questo contatto e questo monitoraggio costante si potrà stabilire se quel genitore è in grado di crescere un figlio e mantenere la responsabilità genitoriale.

Non bastano le relazioni astratte alla luce di sporadici incontri in carcere. In caso di criticità, esistono gli strumenti normativi per affrontarle, ad esempio l’art. 330 c. c., che prevede la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale, e conseguente affidamento del bambino, quando il genitore viola o trascura i suoi doveri, con grave pregiudizio per il figlio.

È stata la Corte Costituzionale, nel 2009, a ricordarci che il pericolo di una “strumentalizzazione” della maternità è adeguatamente bilanciato dalla circostanza che l’art. 146 co. 2 c. p. prevede espressamente, tra le condizioni ostative alla concessione del differimento dell’esecuzione della pena, e tra quelle di revoca del beneficio, la dichiarazione di decadenza della madre dalla potestà sul figlio. Allo stesso principio ci si potrà riferire nel caso di detenute (o detenuti) ospitati nelle case famiglia protette che violino i propri doveri. Tra i quali non annoveriamo, di certo, il dovere di educare il proprio figlio all’illegalità. Si può fare subito. La legge di Bilancio 2021 ha finalmente stanziato i fondi. Non aspettiamo ancora.

*Presidente Unione Nazionale Forense

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