Roma. La storia di Giuseppina, contagiata dal coronavirus a Rebibbia

di Viola Giannoli, La Repubblica, 11 aprile 2020

“Liberatela, è isolata in una cella senza doccia per settimane”. L’appello della figlia di una donna condannata a tre anni nel carcere romano e positiva come altre 70 recluse: “Le portano due bottiglie per lavarsi e niente visite”. Il garante dei detenuti: “In questi casi pene alternative”. Rosato (Iv): “Più rispetto per i diritti delle detenute”.

“Una cella di tre metri quadrati per tre con una branda e un wc, niente acqua calda corrente, solo un fornello da campeggio per scaldare la caraffa che le viene portata e una piccola bacinella blu, di quelle per sciacquare i piatti, per lavarsi. Così vive da due settimane, isolata in una stanza, mia madre positiva al Covid nel carcere di Rebibbia”. La signora Giuseppina Cianfoni, 65 anni, nella Sezione Camerotti dell’edificio femminile del carcere romano ci entra il 26 gennaio. Venti giorni fa però scopre di avere il Covid, contagiata, come le altre due, da una compagna di cella che accusa i primi sintomi. In carcere partono subito i tamponi e, come da prassi, l’isolamento delle detenute da quelle sane.

Ora però la figlia, Rossella Antinori, racconta la storia della madre e delle altre 69 detenute, in un carcere non attrezzato e troppo affollato – come quelli di tutta Italia – per garantire condizioni di vita e di salute più dignitose per chi è recluso e contagiato. Cianfoni, per trent’anni dirigente della Conservatoria dei registri di Velletri, è stata condannata a tre anni e 4 mesi perché accusata di essersi fatta dare da un cittadino 200 euro per trascrivere una sentenza del tribunale civile relativa al trasferimento di una proprietà. “Per un ritardo dell’avvocato nel presentare ricorso – racconta la figlia – mia madre finisce dietro le sbarre. Purtroppo il Covid fa del carcere un luogo più duro, in deroga a qualunque principio di umanità”.

Rossella Antinori scrive al magistrato di sorveglianza, per due volte, e a lui ripete quello che racconta anche a Repubblica: “Gli spazi per l’isolamento sanitario sono scarsi nel carcere. Mia madre, come le altre detenute, è stata messa in una cella con solo il wc e il letto. Gli è stata data una bacinella e una piastra sulla quale scalda l’acqua che poi si versa addosso per lavarsi, con due bottiglie di plastica tagliate a metà. Senza acqua, senza potersi fare una doccia, senza mai guardare il cielo perché l’ora d’aria in isolamento viene soppressa e la finestra inquadra il muro, senza affetti perché le visite sono bloccate dai decreti, senza parlare con nessuna perché anche le malate Covid non possono vedersi tra loro. Oggi mi ha detto al telefono di essere di nuovo positiva, quindi la aspetta una quarantena in isolamento per altre settimane. Dove è finita l’umanità che dovrebbe contraddistinguere anche la pena?”, si chiede ancora la donna. Che ricorda come il 26 febbraio scorso è stata presentata istanza di scarcerazione e l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova, “ma finora non ci sono state risposte”.

Al di là del caso singolo e delle ragioni della detenzione o dell’applicabilità di altre misure alternative, il garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, è convinto che “in questa fase bisognerebbe consentire quanto più possibile le alternative al carcere”. “A Rebibbia femminile abbiamo registrato oltre 70 donne positive al virus su una popolazione totale di 300 detenute circa, una percentuale molto, molto importante”, sottolinea il garante. “Non ci sono luoghi idonei per la separazione delle detenute positive da quelle negative. Alcune fra le positive vengono ospitate al piano terra mentre le docce sono al terzo piano, quindi”, spiega ancora Anastasia, “ricevono una fornitura di acqua calda in bacinelle. Una condizione intollerabile, determinata dal fatto che le detenute sono sempre oltre il limite di capienza previsto. Se 70 utilizzano a turno le stesse tre docce è chiaro che le patologie infettive si diffondono più velocemente. Eppure ci sarebbe un regolamento del 2000 che prevede servizi igienici in tutte le camere detentive. Inapplicato da 21 anni”. A intervenire pure Ettore Rosato, presidente di Italia Viva: “Il Covid è una situazione straordinaria che non si può affrontare in maniera ordinaria. Occorre il rispetto dei diritti e delle condizioni igieniche e psicologiche dei detenuti e delle detenute”.

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