Roma. La mia esperienza di volontariato in carcere: dall’associazione allo sportello di ascolto

di Maria Teresa Caccavale*, Gazzetta dello Sport, 1 giugno 2021

La mia esperienza di volontariato in carcere è iniziata quando insegnavo Economia aziendale a Rebibbia. Durante i miei 27 anni di docenza ho cercato di capire bene come funzionasse il carcere, oltre la scuola, e soprattutto attraverso il continuo contatto con i detenuti percepivo che c’erano degli stati di sofferenza dovuti all’incapacità dell’Istituzione penitenziaria di far fronte ad alcuni bisogni essenziali. Ogni giorno c’erano richieste di vario genere: dalla necessità di parlare con l’educatore, con lo psicologo, con il medico, con il magistrato, di mandare messaggi ai familiari, così come la necessità di avere alcuni beni di consumo inaccessibili economicamente a molti, ed altro. La mancanza di osservazione ed ascolto profondo e continuo, nonché di un programma di reinserimento personalizzato vanifica il processo di rieducazione rendendolo non adeguato ai dettami costituzionali di cui all’art.27.

L’associazione Happy Bridge – La gestione carcerocentrica non consente un processo osmotico con l’esterno e non aiuta il detenuto a responsabilizzarsi e a reinserirsi adeguatamente nella società. In tale contesto il docente diventa una figura di riferimento per i detenuti, qualcuno con cui poter parlare liberamente senza essere giudicati, qualcuno a cui poter chiedere. Tuttavia anche la presenza del docente è limitata dai tempi e dagli spazi, anche volendo fare di più, diventa molto complicato. Così, è scattato in me il bisogno di andare oltre il mio ruolo di docente per dare concretezza ad alcune attività che, a mio avviso, potevano migliorare la qualità della vita delle persone detenute all’interno del carcere, e nel 2011, insieme a 4 amiche, ciascuna operante in settori diversi, abbiamo costituito l’Associazione Happy Bridge. Il nostro scopo era quello di creare quel ponte felice tra l’istituzione ed i detenuti e tra il carcere e l’esterno, cercando quindi di limitare le distanze e di ricucire i fili recisi. Le persone detenute hanno un grande bisogno di dialogare con persone di cui possono fidarsi, di confidare i propri pensieri, e soprattutto sapere di poter contare sulla presenza costante di qualcuno che li ascolti e li aiuti.

A Rebibbia – Così pensai allo sportello di ascolto, che consentiva alle persone di avere la possibilità di parlare e chiedere aiuto di qualsiasi tipologia. In realtà questa attività dovrebbe essere gestita dagli educatori, ma purtroppo il numero di educatori disponibili nelle carceri è sempre molto ridotto rispetto al numero della popolazione detenuta e quindi i rapporti sono sempre molto dilatati. Presentai alla Direzione della Casa di Reclusione di Rebibbia un progetto di massima delle attività che intendevamo realizzare con l’Associazione, attività che prevedevano l’attivazione di uno sportello di ascolto, uno sportello legale, attività di yoga, un laboratorio di spagnolo, organizzazione di eventi musicali, ovviamente tutto in modo assolutamente gratuito per i detenuti e senza alcuna forma di rimborso per i volontari.

La gestione di tutte le attività non è stata semplice perché in carcere i problemi si amplificano e bisogna fare i conti con tanti meccanismi burocratici e istituzionali che complicano la piena realizzazione di molti progetti. Oltre alla disponibilità della Direzione Carceraria e dell’Area Educativa, gli spazi ed i tempi sono elementi di cui bisogna tener conto quando si vuole svolgere una attività in carcere, così come anche il problema della sicurezza gestita dalla Polizia penitenziaria che di fatto riveste un ruolo prioritario. Anche la difficoltà a reperire volontari. Devo dire che per i primi quattro anni sono state fatte molte attività e con buoni risultati, poi la gestione si è complicata perché le richieste dei detenuti erano numerose ed i volontari scarseggiavano, soprattutto per lo sportello legale e di ascolto. Non c’era peraltro la giusta sinergia con l’Area Educativa che faceva fatica a starci dietro tra le autorizzazioni e le istanze che presentavamo. Anche per l’attività di yoga è stato molto complicato, perché all’inizio non avevamo uno spazio dedicato, ma ci dovevamo arrangiare nei corridoi. Solo dopo continue insistenze siamo riusciti ad avere una piccola stanzetta ma comunque inadeguata. Diciamo che se non c’è interesse da parte dell’amministrazione carceraria a capire ciò che si sta facendo, risulta tutto molto complicato e finisce per vanificare i risultati. Forte motivazione e determinazione sono elementi fondamentali per sopravvivere come volontari in carcere.

Le grandi Associazioni hanno alle spalle efficienti organizzazioni e fondi per i volontari. La nostra Associazione, nonostante la piccola dimensione, continua a fornire servizi ai detenuti, ex detenuti o in detenzione domiciliare esclusivamente perché le persone coinvolte ci credono e senza alcun interesse economico, autofinanziando le nostre attività. Purtroppo fare volontariato in carcere non è facile e soprattutto è un mondo in cui bisogna sapersi muovere. Il volontario come dice la parola è colui che, senza alcun rapporto di subordinazione o vincolo particolare, decide di dedicarsi ad una attività a supporto di uno specifico settore o a più settori nel contesto sociale. Nel mondo del volontariato si trova una molteplicità di soggetti di diversa provenienza, da chi ha avuto esperienza nel settore specifico scelto o chi si affaccia a questo mondo per la prima volta, da chi ha una esperienza pluriennale a chi invece non conosce assolutamente come funziona.

Magari, consiglierei di approcciare al volontariato con cautela e conoscenza della normativa sul volontariato perché, al di là del fatto emotivo che può spingere una persona a diventare volontario, è sempre bene avere consapevolezza delle proprie possibilità e capacità operative. Inizialmente il volontariato veniva gestito principalmente dai religiosi perché l’aiuto verso gli altri si identificava con atti di misericordia verso il prossimo e rispondeva alle buone azioni cristiane dettate dalla Chiesa, come dar da mangiare agli affamati, far visita ai carcerati, curare gli ammalati, ecc.

Infatti, negli anni passati il volontariato laico in carcere, o negli Ospedali, negli orfanotrofi, ecc, era molto ridotto. Oggi invece una buona parte del volontariato è anche laico e gestito da un numero considerevole di associazioni e cooperative di varia natura. Durante il periodo pandemico la nostra Associazione è riuscita comunque a mantenere i contatti con i detenuti, ed in particolare con quelli in detenzione domiciliare, portando avanti laboratori di scrittura e siamo riusciti a pubblicare una Antologia Letteraria “Pensieri Reclusi e oltre” che ha riscosso notevole successo.

*Presidente Associazione Happy Bridge Odv

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