di Gerardo Villanacci, Corriere della Sera, 8 maggio 2021
Troppi errori: la riforma, che il governo ha posto tra le priorità, potrebbe costituire un’occasione per rimediare. Senza rischio di iperbole, si può affermare che la recente sentenza della Cassazione che ha definitivamente assolto la signora Carolina Girasole ex sindaco di Isola Capo Rizzuto ma, soprattutto, simbolo dell’antimafia fino a quando nell’ormai lontano dicembre del 2013 venne arrestata con l’accusa di essere stata eletta con “voti sporchi” ricevuti dalla ‘ndrangheta in cambio di favori, esprime una incongruenza inaccettabile per uno Stato democratico di diritto. Certo si può decidere di derubricare l’episodio a un ennesimo errore giudiziario oppure lasciarsi travolgere da un moto di ottimismo valutando che seppure dopo sette anni e mezzo “il calvario è finito”, come ha dichiarato l’interessata, nella consapevolezza che in altre circostanze è trascorso molto più tempo e talvolta la verità non è mai emersa.
Tuttavia poiché i casi di mala giustizia sono giunti, dal 1992 al 31 dicembre 2020, all’insostenibile numero di 29.452 con un costo per la collettività di quasi ottocento milioni di euro di indennizzi (ventotto milioni di euro l’anno) è necessario, forse meglio dire urgente, chiedersi se a questi casi possa essere posto rimedio con la riforma della giustizia che l’attuale governo, in linea con le prescrizioni europee, ha collocato tra le prime quattro più importanti da attuare, insieme a quelle della Pubblica amministrazione, semplificazione e concorrenza.
Sono apprezzabili gli annunciati interventi “sulla accelerazione dei processi per garantire competitività del sistema Italia”. Non di meno oltre che delle disfunzioni strutturali, le ingiustizie sono soprattutto la conseguenza di alterazioni culturali e in primo luogo del mai completamente attuato principio di presunzione di innocenza. Una problematica che sarebbe riduttivo ricondurre nel solo alveo delle sofferenze individuali, benché la loro imperscrutabile dinamica abbia condotto a drammatiche conseguenze.
In uno Stato a fondamento democratico, una condanna ingiusta essendo percepita come una questione che riguarda l’intera collettività, alimenta la sfiducia nella giustizia. L’opzione ideologica condensata nel principio di non colpevolezza (articolo 27 Costituzione) è alla base di ogni democrazia costituzionale la quale al fine di preservare l’inviolabilità della libertà personale, è pronta a lasciare libero un colpevole piuttosto che condannare un innocente.
La virata europeista che l’esecutivo ha inteso imprimere anche con le ultime programmazioni riformiste, deve spingersi fino a recepire appieno la portata del principio di presunzione di innocenza che, come si può leggere nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 ma anche nelle ormai granitiche direttive adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio (direttiva 343/Ue del 9 marzo 2016), è collocato tra i più importante diritti fondamentali della persona umana.
Sarebbe comunque superficiale affrontare la tematica unicamente sotto il profilo giudiziario, senza considerare gli effetti della divulgazione di notizie relative a una determinata vicenda giudiziaria, avendo piena consapevolezza che questo implica molto spesso infrangere il divieto di punire prima della condanna definitiva. Con ciò non si intende sostenere che la presunzione di non colpevolezza debba comportare delle restrizioni al diritto di cronaca, bensì che è necessario garantire una corretta informazione, semmai fornita da parte degli Uffici inquirenti e con carattere impersonale, evitando degenerazioni attraverso la ricostruzione di fatti giudiziari nei salotti televisivi. Forme di giustizia spettacolo che tra l’altro condizionano la pubblica opinione.
È tempo quindi che il principio di presunzione di innocenza, da aspirazione teorica distante dall’ordinamento giudiziario ne diventi criterio guida non soltanto per le parti direttamente interessate alle vicende processuali ma anche per tutti coloro che possono concretamente influenzarle. L’approccio europeo del quale si è detto, obbliga a guardare gli indirizzi della Corte europea che denunciando in più occasioni le pronunce di giudici nazionali basate su meri sospetti di colpevolezza, ha fornito indicazioni chiare agli Stati membri sulla esigenza di salvaguardare la reputazione e i diritti di chi deve essere considerato innocente fino all’eventuale condanna definitiva.
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