Odio e silenzio i veri mandanti

di Maurizio de Giovanni La Stampa, 14 settembre 2020

Sarebbe facile. Sarebbe molto facile dare la solita lettura di quest’ennesima, atroce storia: interpretare nel modo consueto l’inseguimento notturno delle due moto tra Caivano e Acerra, un fratello che non perdona alla sorella la sua storia d’amore e la sperona, e mentre lei muore col collo spezzato lui si accanisce sulla compagna a calci e a pugni, e mentre quella lo prega e lo scongiura di occuparsi della sorella lui niente, continua a picchiare, e continua e continua finché arrivano i carabinieri e si rende conto delle conseguenze di quello che ha fatto, di quello che realmente è accaduto.

Sarebbe facile parlare di arretratezza e degrado, di quanto il Sud del paese e del mondo sia indietro, dell’infamia dell’ignoranza e della violenza che rende in qualche modo insuperabile l’incapacità della comprensione. Sarebbe facile levare il solito grido di dolore, richiamando l’attenzione superficiale e distratta sull’assenza delle istituzioni in un luogo folle in cui tutti sanno esistere la piazza di spaccio più grande d’Europa e nessuno fa niente per estirparne il cancro, in un comune da anni commissariato per il forte intreccio tra malavita organizzata e amministrazioni, dove non è possibile esercitare liberamente il diritto al voto.

Sarebbe facile richiamare la difficoltà della scuola, in un luogo dove un ragazzo su tre non frequenta alcun istituto nell’età dell’obbligo all’istruzione e nessuno se ne occupa. Sarebbe facile puntare l’indice su strutture familiari che non sanno proporre modelli, dove la strada è una giungla e dove i maestri sono quelli che propongono un modo semplice e diretto di fare soldi, e poco importa se questi modelli portano a una precoce morte violenta o a lunghe carcerazioni che non sono certo redentive ma che consolidano e acuiscono la determinazione a vivere da delinquenti.

E sarebbe meno facile ma comunque possibile dire che comunque Maria Paola aveva voluto vivere e viveva la propria storia d’amore, e che da anni conviveva con chi amava, e che se non fosse stato per la nebbia che ha avvolto il malfunzionante cervello e il cuore ottuso di suo fratello ancora la vivrebbe, proprio lì e proprio adesso, nonostante il mondo e nonostante una assurda, ignobile e maligna morale con la emme molto minuscola. Sarebbe facile.

Noi invece non riusciamo a liberarci dall’orribile sensazione che esista un filo rosso e grondante che unisce tutti gli eventi che la cronaca ci getta impietosa in faccia, nelle pieghe del racconto di una pandemia che distanzia e allontana e rende soli e silenziosi. Non riusciamo a liberarci dal riconoscere una perversa, dolorosa identità in questi corpi insanguinati e in queste morti inutili e quindi ancora più agghiaccianti. E Maria Paola, uccisa dal proprio stesso sangue solo perché era innamorata, si colloca al fianco di Willy che voleva difendere un amico dalla furia folle, e al fianco di Filippo, che era andato in discoteca a Bastia Umbra ed è morto in una rissa; e di Evan, che non aveva ancora due anni ma che prima di morire aveva già conosciuto l’ospedale per i precedenti maltrattamenti, e di Gioele, il cui minuscolo cadavere è stato sbranato dai cani nel silenzio di un declivio al fianco di un’autostrada.

Perché a unire questi morti, a legare questo sangue c’è il silenzio, l’indifferenza e l’incapacità di prevedere qualcosa che era leggibile, che si poteva immaginare e fermare prima. E c’è l’odio che caratterizza quest’epoca, alimentato nelle aule della politica e nei talk show in cui se urli e strepiti e sbavi con gli occhi iniettati di sangue sei più cool, più attraente e più ascoltato. Un odio profondo e divisivo, un’intolleranza sdoganata come fosse un’opinione, un rispettabile punto di vista. Che invece è solo concorso in omicidio.

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