Manconi: “Santa Maria C.V.? L’orrenda normalità delle carceri italiane”

di Lorenzo Maria Alvaro, Vita, 3 luglio 2021

“Nel febbraio scorso il tribunale di Firenze ha condannato, in primo grado, 10 poliziotti penitenziari per atti di tortura nei confronti di detenuti”, sottolinea il professore, fondatore e presidente di “A Buon Diritto”, “Tra luglio 2019 e quel 6 aprile a Santa Maria C.V. si sono registrate 9 indagini della magistratura su altrettante vicende di violenze e maltrattamenti avvenuti in carcere. In nove mesi nove indagini. È sostanziale che si superi l’idea che l’unica forma di pena attuabile e immaginabile sia la cella chiusa”.

Il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, si sono verificate violenze condotte dagli agenti di polizia penitenziaria della struttura ed esterni contro 300 persone detenute. Il movente sarebbe punitivo: all’inizio di aprile del 2020, in alcune sezioni del penitenziario infatti ci furono proteste e manifestazioni da parte dei carcerati, che chiedevano la possibilità di avere mascherine e igienizzanti per le mani per ridurre il rischio di diffusione del coronavirus nella struttura e contestavano la sospensione delle visite. Proteste che si sono intensificate fino al 5 aprile. I pestaggi sono stati ripresi dalle telecamere interne del Carcere e la diffusione dei video ha scatenato una enorme polemica perché hanno mostrato in modo inequivocabile che si è trattato di violenza condotta su persone che non avevano modo e possibilità di difendersi.

I pestaggi sono stati ripresi dalle telecamere interne del Carcere e la diffusione dei video ha scatenato una enorme polemica perché hanno mostrato in modo inequivocabile che si è trattato di violenza condotta su persone che non avevano modo e possibilità di difendersi. La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha chiesto “un rapporto completo su ogni passaggio di informazione e sull’intera catena di responsabilità” e ha definito l’accaduto “un tradimento della Costituzione”. Dal punto di vista giudiziario saranno tutti sospesi i 52 agenti della Polizia Penitenziaria coinvolti nell'”orribile mattanza”, come l’ha definita il gip, la cui posizione si aggrava perché le immagini documentano le violenze inflitte ad un 27enne detenuto algerino affetto da schizofrenia trovato morto in cella il 4 maggio 2020. Nel commentare la vicenda Luigi Manconi, fondatore e presidente di “A Buon Diritto” ha detto che “il carcere è un sistema fondato sulla violenza”. Lo abbiamo intervistato.

L’iniziativa dei 300 tra agenti di polizia penitenziaria del carcere ed esterni è stata definita “perquisizioni personali arbitrarie e abusi di autorità”. Il tutto è stato condotto con caschi e il volto coperto per non farsi riconoscere. A cosa siamo di fronte?

A quella che è una vera e propria spedizione punitiva che è stata prevista con l’intento dichiarato di voler riportare l’ordine dopo un’azione di protesta. In realtà la cosa è molto semplice: all’interno del carcere vige un potere che l’azione dei detenuti aveva in qualche modo messo in discussione. Dunque andava ripristinato quel potere e ciò, nella modalità di chi ha voluto e condotto quell’azione, poteva avvenire solo attraverso la repressione violenta di quei corpi che si erano ribellati.

I fatti risalgono a quando era ministro della giustizia Alfonso Bonafede (M5S), che in Parlamento commentò quelle proteste, che accomunavano molte altre carceri oltre a quella di Santa Maria C.V., dicendo: “Le rivolte in carcere sono atti criminali di minoranza, lo Stato non indietreggia”. Circa Santa Maria C.V. il sottosegretario 5 Stelle, Vittorio Ferraresi, dirà che “quella di Santa Maria è stata una doverosa operazione di ripristino della legalità”…

Questo è uno degli aspetti più inquietanti sui quali va indagato. Perché il ministro della Giustizia è stato indotto a mentire davanti al Parlamento. Ha cioè, attraverso il suo sottosegretario, letto un testo palesemente scritto da responsabili del Dap che hanno mentito sapendo di mentire, dal momento che siamo nell’ottobre del 2020, i fatti risalivano ai primi di aprile e già a giugno c’erano stati i primi atti dell’autorità giudiziaria. Parlo delle perquisizioni ai poliziotti, l’acquisizione delle chat e l’apertura formale dell’indagine. Quindi quell’atto parlamentare, l’interrogazione di Riccardo Magi e la risposta del ministero, è il fatto più grave dell’intera vicenda e va puntualmente ricostruito. Serve capire chi ha scritto il testo che è stato letto in aula.

Lo stesso ex Ministro spostò poi ad altri penitenziari della Campania 70 dei detenuti vittime di pestaggi. Ad oggi non ha rilasciato alcuna dichiarazione…

Non c’è dubbio. Uno dei fatti più gravi che si possano attribuire a un ministro è mentire in aula. Bonafede ha mentito. È di una gravità inaudita.

Le rivolte dovute alle misure anti Covid hanno coinvolto 21 carceri italiane e hanno causato 13 vittime e più di 200 feriti. Ministero e Dap a suo avviso che responsabilità hanno?

Devo correggerla. Ci sono quelle 13 morti che sono avvenute nel carcere di Modena ma a cui vanno aggiunte un decesso a Bologna e tre o quattro a Rieti. Stiamo parlando di detenuti che sono andati in overdose dopo aver ingerito fiale di metadone e sono rimasti ore e ore senza ricevere adeguati soccorsi. Su queste morti ci sono stati atti giudiziari e una prima archiviazione per circa 8 casi. Ma se anche fosse vero che la morte di queste persone derivi interamente dalla loro responsabilità per aver ingerito sostanze, bisogna ricordare che a queste persone non doveva essere consentito di approvvigionarsi autonomamente dalla infermeria di sostanze pericolose e che quando questo dovesse avvenire non è pensabile che non vengano prontamente e adeguatamente curati.

Il ministro titolare della Giustizia oggi è Marta Cartabia, che sta lavorando anche con l’apertura di alcune commissioni di esperti, alla riforma della giustizia. C’è discontinuità rispetto ai governi precedenti?

Indubbiamente. Già solo le parole della ministra di ieri sono state un fatto di inequivocabile discontinuità. Non si è limitata a dire le solite frasi di rito come “la magistratura deve perseguire eventuali reati” o “promuoverò un’inchiesta interna”. Ha definito quelle azioni come devono essere definite. Questo rappresenta già una discontinuità netta con la gestione precedente. Io ho una grande fiducia nella ministra Cartabia, e non è una fiducia astratta, perché ha sempre detto e fatto cose sagge. So che anche in questo caso procederà come richiesto da una situazione che è drammatica.

Adriano Sofri commentando i fatti ha scritto su Il Foglio, riferendosi agli agenti di polizia penitenziaria accusati delle violenze, “è grottesco additarli come mele marce: non si è trovata una mela sana fra loro. È ridicolo, e vile, immaginarli cattivi. Vuol dire non aver capito niente della storia, delle brave persone, degli uomini ordinari che diventano a gara fra loro carnefici obbedienti e volenterosi”. Ha ragione?

Certamente. Per due motivi. Innanzitutto questa immagine delle mele marce è una sciocchezza assoluta dal punto di vista ortofrutticolo. Se lei ha delle mele marce e le lascia con quelle sane in uno stesso cesto, inevitabilmente marciranno tutte. Quindi questa immagine che viene usata tutte le volte è di una insensatezza totale. La seconda questione che pone Sofri è che è ovvio che la responsabilità penale è personale. Ma è altrettanto evidente che il carcere è un sistema fondato sulla violenza. Un sistema dove l’educazione, l’esperienza, la professione, tutto ruota intorno a quella che è la prima mansione del poliziotto penitenziario, che è quella di custodire. Custodire comporta l’esercizio di una forma di violenza per privare della libertà altri essere umani. È in questo rapporto di coercizione che caratterizza la relazione tra custode e custodito che si sviluppa la tensione che in determinate circostanze diventa violenza.

In effetti a guardare le immagini si nota come si tratti di agenti “normali”, uomini di mezza età e pesanti di corporatura. È questa oggi la normalità del carcere?

Ma sono persone normali. Più che del carcere questa è la normalità della violenza che non è esclusiva facoltà di una parte degli esseri umani. La violenza è connaturata all’essere umano. Quando vi sono determinate circostanze l’aggressività latente esplode. Il carcere è un contesto che favorisce questa esplosione.

Un’altra notizia di queste ore che sta passando inosservata è la condanna per i Carabinieri del gruppo della stazione Levante, caserma di Piacenza, che venne chiusa dopo che emersero spaccio di droga e tortura. Un altro luogo dello Stato e simbolo di legalità profanato da condotte inaccettabili. Cosa sta succedendo?

Nulla di particolare. Queste sono sedi di istituzioni dello Stato particolari, quelle titolari del monopolio legittimo della forza. Il monopolio legittimo della forza è un potere immenso e delicatissimo. Se non ci sono adeguati controlli, un processo di formazione intelligente e un processo di democratizzazione l’uso legittimo della forza tende a diventare abuso. Il problema è tutto qui. Tutte le istituzioni di questa natura possono degenerare. Spetta alla politica impedire che questo accada con un controllo assiduo.

In questi giorni lei ha sottolineato come nel febbraio scorso il tribunale di Firenze ha condannato, in primo grado, 10 poliziotti penitenziari per atti di tortura nei confronti di detenuti. E ricordo un dato impressionante: tra luglio 2019 e quel 6 aprile del 2020 a Santa Maria C.V. si sono registrate 9 indagini della magistratura su altrettante vicende di violenze e maltrattamenti. Come se ne esce?

Bisogna avere due forme di coraggio e di fantasia. Bisogna ribaltare l’idea di carcere. Cioè non può ancora dominare la concezione che l’unica forma di pena attuabile e immaginabile sia la cella chiusa. La cella chiusa come pena per tutti i reati, le trasgressioni e le condotte devianti. Il carcere deve essere extrema ratio usata esclusivamente per le persone socialmente pericolose, che secondo la stessa amministrazione penitenziaria sono il 10% della popolazione carceraria. Ridurre il ricorso al carcere al minimo e far sì che il carcere sia attraversato dagli sguardi dei cittadini, dal controllo della politica, dalla presenza di coloro che non sono detenuti né lavoratori penitenziali ma che debbano considerare il carcere come parte della nostra società. Dove non ci sono persone diverse da noi ma persone uguali a noi che a differenza di noi non hanno resistito alla tentazione di delinquere. Ma che quella tentazione noi stessi la conosciamo e il fatto che non vi abbiamo ceduto non fa di noi i buoni ma i precariamente buoni.

Si può fare con una riforma?

Certo. Bisogna riformare il carcere da cima a fondo. Nelle carceri il 30% delle persone recluse è in attesa di condanna definitiva, e questo è incivile. Il numero dei tossicodipendenti è elevatissimo, e questo è incivile. La riforma del carcere deve essere radicale. È un problema che non si risolve con piccoli provvedimenti. Ci sono decine di migliaia di detenuti che potrebbero scontare la pena in modo diverso, aspettare il processo fuori dal carcere; e una volta condannati potrebbero espiare con modalità alternative. Come dicevo è incivile che la cella sia l’unica forma di pena non solo applicata ma addirittura pensata. In Italia c’è una mentalità regressiva, arretrata. Adesso nelle proposte di riforma del ministro Cartabia c’è un più ampio ricorso alla pena pecuniaria, questo è giusto. Qualunque sanzione diversa dalla cella chiusa va sperimentata.

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