L’eterno ritorno del manicomio. In carcere

di Emilio Robotti, psychiatryonline.it, 22 marzo 2021

I provvedimenti ad interim della Corte Europea dei Diritti Umani sono misure cautelari che possono essere destinati ad uno Stato membro del Consiglio di Europa per impedire la violazione di un diritto fondamentale durante il tempo occorrente alla Corte per valutare un ricorso o anche per consentire all’interessato di proporre il ricorso.

I provvedimenti ad interim possono arrivare addirittura a poche ore dalla loro richiesta (qualcosa di inaudito ed insperato per qualsiasi Avvocato che si rivolga ad un Tribunale nazionale italiano), ma non è per niente facile ottenerli.

Sono noti, ad esempio, casi che hanno fatto scalpore, nei quali la Corte di Strasburgo ha rigettato la richiesta di una misura ad interim: il caso Open Arms, oppure il caso dell’Avvocata Turca Ebru Timkik, della quale si chiedeva la scarcerazione dalle carceri turche perché in fin di vita per lo sciopero della fame e le condizioni di prigionia. Come noto, Ebru Timkik non ha ottenuto la misura ad interim, avendo la Corte ritenuto che non fosse in pericolo imminente di vita, ed è deceduta. Ed anche nel caso Open Arms, che non ha avuto un epilogo tragico come per Ebru Timkik, per fortuna, la misura non è stata concessa.

Eppure, nel più o meno costante disinteresse dei media e soprattutto del sistema che governa le sorti italiane della salute mentale, nel 2021 la Corte di Strasburgo ha nuovamente comminato all’Italia, come nel 2020 era avvenuto, un provvedimento ad interim, ordinando al nostro paese di provvedere ad inserire in una REMS un paziente psichiatrico che da oltre un anno attendeva – in carcere, insieme agli altri detenuti – si liberasse un posto in una struttura dove poter essere curato.

Persone prima che pazienti, assolti per incapacità totale di mente, ma ritenuti pericolosi e che, in attesa si liberasse un posto in una REMS, sono rimasti in carcere. Una detenzione illegale, in un istituto penitenziario, che purtroppo si protrae ormai ordinariamente anche per un anno, un anno e mezzo, in attesa che si liberi un posto in una REMS. Non ci sono dati ufficiali recenti reperibili sulle liste di attesa per le REMS. Quelle più recenti ed ufficiose parlano di 683 posti nelle REMS esistenti sul territorio nazionale, con 813 pazienti in lista di attesa, dei quali 98 in carcere.

Novantotto pazienti, quindi, nelle stesse situazioni che hanno visto intervenire l’Ordine della Corte nel 2020 e nel 2021. Ma il provvedimento della Corte arriva dopo una richiesta. E non tutti hanno a disposizione un Avvocato specializzato per un ricorso o una istanza alla Corte di Strasburgo. Non tutti, poi, hanno purtroppo la forza di aspettare che si liberi un posto in una REMS: è pendente in Lazio un procedimento penale per il caso di uno di questi pazienti in carcere, che nell’attesa di un posto libero nelle REMS, si è tolto la vita.

La chiusura dell’ultimo residuo manicomiale, ovvero l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG) e la creazione delle REMS ha insomma rappresentato un ulteriore cortocircuito dell’assistenza psichiatrica, attraverso un dibattito non di rado autoreferenziale e comunque solo specialistico e di nicchia, diversamente da quanto accaduto nella stagione che ha portato all’approvazione della L. 180/78. Una chiusura degli OPG senza la messa a disposizione delle risorse necessarie, inserita in un quadro di depotenziamento dell’assistenza psichiatrica territoriale e residenziale, affermando la necessità di costruire REMS esclusivamente pubbliche, ma senza avere (anzi, senza mettere a disposizione) le risorse materiali, umane e professionali.

Meglio sarebbe stato, meglio sarebbe oggi, rendere disponibili le risorse necessarie ed aprire, oggi che è tardi, ma prima che sia troppo tardi, un dibattito vero. Quel dibattito che fino ad ora è mancato, coinvolgendo quelle realtà che sono nate dalla chiusura molti anni prima dei manicomi, le Comunità Terapeutiche così necessarie ed utilizzate dal sistema Sanitario Nazionale., eppure così snobbate a livello centrale, la cui voce non è mai ritenuta necessaria nei palazzi del Ministero e di Agenas, L’Agenzia Sanitaria Nazionale, che periodicamente organizzano convegni e gruppi di lavoro in cui magari si denunciano fenomeni di istituzionalizzazione non meglio chiariti, ma dove il fenomeno che riguarda otto o novecento pazienti abbandonati con misure cautelari o addirittura in carcere in attesa per un anno e mezzo di posto in una REMS non rappresentano un problema da affrontare e tantomeno da risolvere.

Un coinvolgimento delle Comunità terapeutiche psichiatriche sul territorio potrebbe ovviare innanzitutto alle problematiche di quei settecento pazienti ritenuti pericolosi, non ancora in carcere, ma in attesa di posto nella REMS che potrebbe non arrivare mai e che nell’attesa, abbandonati a sé stessi, spesso commettono altri reati che li portano in carcere. Durante l’attesa, questi pazienti potrebbero essere curati nelle strutture residenziali psichiatriche e forse evitare non solo il carcere, ma la necessità stessa di un ricovero in REMS al termine del percorso residenziale e semiresidenziale.

C’è una associazione nazionale, Fenascop, della quale da alcuni mesi chi scrive è Presidente Nazionale, che da anni è disponibile ad aprire un dibattito che coinvolga quelle comunità terapeutiche psichiatriche che tale associazione da trent’anni ormai rappresenta a livello nazionale e regionale. Un dibattito per realizzare soluzioni che interrompano la spirale di abbandono sul territorio o addirittura in carcere e quell’insostenibile dialettica tra l’amministrazione penitenziaria i servizi sanitari regionali o i Dipartimenti di Salute Mentale, che nella situazione attuale, mai potrà arrivare ad un traguardo rispettoso dei diritti della persona.

Per trovare soluzioni che siano rispettose della Legge 81/14 che ha istituito le REMS e degli approdi della Giurisprudenza anche Costituzionale, per la quale le misure di sicurezza detentive devono essere sempre considerate residuali e per la quale, anche quando è stata accertata la persistente pericolosità sociale, il ricovero in REMS deve essere considerato eccezionale e “transitorio”.

Nell’attesa che il Servizio Sanitario Nazionale e Regionale, nella parte che governa la Salute Mentale, finalmente crei le REMS previste dalla Legge. O chieda di cambiare la Legge per rispondere alle esigenze di cura dei pazienti ritenuti socialmente pericolosi e garantire anche i loro diritti. Perché in caso contrario, si è abolita la barbarie dell’OPG per creare quella dei pazienti psichiatrici in carcere. L’eterno ritorno del manicomio, insomma.

I commenti sono chiusi, ma trackbacks e pingbacks sono aperti.