L’ergastolo ostativo è incostituzionale. Un anno per cambiare

di Eleonora Martini, il manifesto, 16 aprile 2021

«Incompatibile con la Costituzione». L’ergastolo ostativo non rispetta gli articoli 3 e 27 della nostra Carta né l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per la Consulta la questione è assodata. Ma, esattamente come nel caso dell’aiuto al suicidio (ottobre 2018) e del carcere per i giornalisti (giugno 2020), dopo tre settimane di riflessione e lunghe ore di camera di consiglio, i giudici della Corte costituzionale hanno preferito pungolare il Parlamento affinché intervenga sulla materia in modo approfondito ed articolato. Un anno di tempo, per il legislatore. Altrimenti la questione verrà ritrattata «nel maggio 2022».

PERCHÉ, SPIEGA l’ufficio stampa della Consulta rinviando per i dettagli all’ordinanza che verrà depositata nelle prossime settimane, intervenire immediatamente avrebbe significato rischiare «di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata».

La questione di legittimità dell’ergastolo cosiddetto «ostativo» è stata sollevata dalla Corte di Cassazione su richiesta dell’avvocata Giovanna Araniti, legale di un uomo condannato a vita per reati di mafia che, per il fatto di non aver collaborato con la giustizia, si è visto negare a priori la liberazione condizionale. La causa approdata in Consulta (giudice relatore Nicolò Zanon) segue – in ordine temporale – l’ordinanza emessa nell’ottobre 2019 che aveva dichiarato incostituzionale l’automatismo con il quale si vietano i permessi premio agli ergastolani mafiosi “non pentiti”.

ORA, I GIUDICI costituzionali rilevano che le leggi vigenti precludono «in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro». Viceversa, si potrebbe aggiungere, è plausibile che per mera strategia difensiva ci si possa dimostrare collaboranti con gli inquirenti senza aver mai interrotto i legami con il clan d’appartenenza. Per i giudici delle leggi dunque una «tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà», è in contrasto con i dettami costituzionali italiani e con la Convenzione Edu.

MA SE LA PRECEDENTE questione dei permessi premio preclusi agli ergastolani ostativi aveva di fatto spaccato il collegio della Consulta, con 8 voti a favore dell’incostituzionalità contro 7 contrari, almeno secondo i retroscena mai smentiti del Corriere della Sera, non è fantasioso supporre che anche questa volta in camera di consiglio non si è trovata la “quadra”.

La Corte ha infatti preferito non entrare nei dettagli (per esempio: lasciare discrezionalità al magistrato di sorveglianza competente, oppure mettere tutto in capo al Tribunale di sorveglianza di Roma? Differenziare l’ostatività a seconda del ruolo del condannato nel suo clan mafioso, o intervenire sulle categorie di «collaborazione inesigibile» e «impossibile»?) ma ha indicato la via al legislatore. Suggerendo «interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi».

«È UN’INCOSTITUZIONALITÀ “prospettata”, per riprendere l’espressione con la quale Giorgio Lattanzi qualificò l’analoga ordinanza di rinvio nel caso Cappato, per violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione – spiega al manifesto il costituzionalista Marco Ruotolo, docente all’Università Roma Tre – La Corte rinuncia a dichiarare subito l’incostituzionalità, pur avendola accertata, per dare al legislatore il tempo di operare un intervento sistematico, di tipo strutturale, sia pure entro linee direttive che immagino saranno indicate nella motivazione».

Ciò che è certo, continua il direttore del master in «Diritto penitenziario e Costituzione», è che «la preclusione assoluta non potrà rimanere; si potrà, ad esempio, incidere sul regime probatorio, se del caso valorizzare eventuali condotte riparative in favore delle vittime del reato, ma sempre garantendo che la pena dell’ergastolo sia “effettivamente” riducibile, che quindi il difetto di collaborazione non possa più essere indice invincibile di pericolosità sociale».

LE REAZIONI al pronunciamento sono tante e di segno opposto. C’è una certa magistratura, come quella di «Autonomia e indipendenza» rappresentata dal consigliere del Csm, Sebastiano Ardita, che arriva a segnare la distanza tra la Costituzione del 1947 e l’attuale potenza criminale delle mafie. Ci sono i familiari delle vittime di mafia che si augurano ora un intervento legislativo che non pregiudichi «l’efficacia di una normativa antimafia» (Maria Falcone). E poi ci sono le organizzazioni e i partiti che militano nel campo del rispetto dei diritti umani, come l’associazione Nessuno tocchi Caino, che plaude ad «un altro passo verso il diritto alla speranza». La parola ora sta alla politica.

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