Le scarcerazioni facili sono davvero un problema durante l’emergenza Covid-19?

di Xenia Chiaramonte, ICI Berlin

FOTO DI FRANCESCA GABRIELE

Le prime proposte nel senso della scarcerazione sono giunte con largo anticipo rispetto alla decretazione d’urgenza, all’indomani dell’8 marzo, e provenivano dai garanti dei diritti dei detenuti – “il sovraffollamento aiuta il virus, l’urgenza è svuotare quelle celle” titola Repubblica il 10 marzo, citando Stefano Anastasia, garante per Lazio e Umbria – nonché dalla sinistra di movimento, la quale storicamente ha sviluppato riflessioni decisive sino a raggiungere una sensibilità specifica sul tema carcerario. Anche le organizzazioni internazionali avevano presto predisposto delle indicazioni per la gestione del rischio in carcere. L’Organizzazione mondiale della sanità apre il documento del 15 marzo segnalando che “Le carceri e altri luoghi di detenzione sono ambienti chiusi in cui le persone (compreso il personale) vivono nelle immediate vicinanze. Ogni paese ha la responsabilità di aumentare il proprio livello di preparazione, allerta e risposta per identificare, gestire e prendersi cura di nuovi casi di COVID-19”. Sulla stessa linea si esprime anche il CPT (European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment) il 20 marzo.

Lo spazio dell’istituzione totale è spesso considerato come uno spazio senza conflitto, dove la condanna all’entrata nel mondo di dentro corrisponderebbe a una simmetrica esclusione dalle dinamiche del mondo di fuori. Per chi conosce la permeabilità delle carceri, col loro sovraffollamento, e la continua inevitabile (nonché benefica) relazione col mondo esterno, il binomio carcere-virus presenta invece tutte le coordinate di una bomba a orologeria.

A ben vedere, “le carceri sono comunità chiuse, ma – per fortuna – non impermeabili: quotidianamente vi entrano non solo le persone tratte in arresto e i condannati a pene detentive, ma numerosi operatori, dell’Amministrazione penitenziaria, dei servizi sanitari, delle scuole e del volontariato. Ci sono poi gli operatori giudiziari e i parenti in visita ai congiunti detenuti. Tutte attività e gli ingressi che non si possono interrompere in base a un generico principio di precauzione, ma che è importante regolamentare secondo le necessarie misure di profilassi contro la diffusione del coronavirus che, in un ambiente chiuso, promiscuo e con limitate risorse di igiene personale per coloro che vi sono costretti, sarebbe gravissimo e difficile da gestire. Questa, in effetti, è la preoccupazione specifica per la possibile diffusione del virus in carcere: non già che vi arrivi facilmente, ma che possa essere difficile individuarlo per tempo e, soprattutto, che possano essere adottate le necessarie misure di contenimento in quell’ambiente sovraffollato e igienicamente spesso scadente (Stefano Anastasia)

Va riconosciuto all’associazionismo, al sapere critico, nonché alle forme politiche antagoniste un primato nella comprensione del rischio specifico che il virus costituisce per uno spazio votato alla reclusione.

L’appello, diffuso a metà marzo 2020, non avrebbe potuto essere più chiaro: Nelle carceri «si rischia la catastrofe, bisogna muoversi adesso», è il grido d’allarme lanciato dall’associazione Antigone che con Anpi, Arci e Gruppo Abele offre al governo una serie di proposte. Il pericolo che l’epidemia dilaghi tra le 61 mila persone stipate in celle sovraffollate «a volte fino al 190% della capienza regolamentare» e con scarsa igiene, con conseguenze indicibili per il sistema sanitario già al limite, inizia a diventare visibile anche agli occhi del ministro di Giustizia e del capo del Dap.

Quando sono arrivate, poco puntuali a dire il vero, le prime proposte ministeriali, si erano già registrate alcune morti e numerose rivolte dentro le patrie galere. Al contempo il dibattito pubblico mostrava i caratteri di una completa ignoranza sia dell’ordinamento penitenziario sia dei più basilari diritti dei detenuti.

La questione veniva liquidata con ragionamenti di questo tenore: per chi è già in isolamento, quale dovrebbe essere il rischio di contagio? Non è forse più rischioso farli uscire che lasciarli là dentro? E poi, soprattutto, se sono là dentro, c’è sicuramente un valido motivo; non si può di certo farla franca strumentalizzando un’occasione così ghiotta! Tra populismi penali mediatici e ignoranza dei diritti fondamentali dei detenuti, si è dunque consumato e si consuma il dibattito sulle cosiddette “scarcerazioni facili”.

Per chi, invece, ha esperienza del carcere le incursioni del mondo esterno sono linfa vitale imprescindibile. Vengono in mente le parole con cui Sante Notarnicola, nella prefazione alla sua raccolta La nostalgia e la memoria  invita alla lettura dei suoi poemi: «Queste poesie vogliono anche essere altri appunti, altri ricordi dell’esperienza da trasmettere. Vi sono fissate vicende belle e altre meno belle, esattamente come in una qualsiasi vita: momenti di felicità pura che sembra impensabile possano viversi in un carcere, come l’attesa e l’incontro con la persona amata, l’euforia e la gioia nel constatare che è possibile coltivare un legame affettivo…».    

Più direttamente in relazione al fenomeno virale, c’è stato poi chi è arrivato a sostenere che “«il carcere sia il luogo più sicuro contro il Covid-19, squadernando statistiche alla Trilussa: ad oggi (18 aprile 2020 ndr), sono 105 i detenuti e 209 gli agenti positivi al virus; solo 6 i morti, distribuiti equamente tra reclusi, guardie e medici penitenziari; dunque l’ultima cosa da fare per mettere i detenuti al riparo dal contagio è scarcerarli». (…)

È l’assenza di uno screening dell’intera popolazione carceraria a illudere sulle dimensioni contenute del fenomeno. A dispetto delle apparenze, il carcere è una realtà porosa attraversata da un viavai di persone (guardie, personale amministrativo e sanitario, cappellani, volontari, avvocati, magistrati, parenti, garanti, pochissimi i parlamentari) e di detenuti trasferiti da un istituto all’altro (e chissà se, con le loro scorte, sono sottoposti al necessario tampone). Ecco perché le mura del carcere possono ritardare, ma non impedire, la diffusione del virus, agevolata da un sovraffollamento penitenziario di nuovo sub iudice: toccherà, questa volta, alle Sezioni Unite della Cassazione dirci se i 3mq a detenuto vanno calcolati al lordo o al netto degli arredi in cella, e di quali arredi. Dentro istituti di pena dove 55.030 detenuti sono stipati in 47.000 posti effettivi, il virus sarà il cerino acceso gettato nella tanica di benzina, com’è accaduto nelle residenze sanitarie per anziani.

Il 17 marzo Patrizio Gonnella segnala con preoccupazione: «In questo momento nelle carceri italiane vi sono circa quattordici mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare effettiva». Come si può leggere sul rapporto di Antigone: «A fine febbraio i detenuti erano 61.230 a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 posti. Le donne in tutto erano 2.702, il 4,4% dei presenti, gli stranieri 19.899, il 32,5%».

In altre parole, il sovraffollamento significa concretamente la condivisione di dodici metri quadri in quattro, non avere privacy o intimità, non godere di un minimo spazio vitale, nemmeno durante il sonno. A una situazione già radicalmente insostenibile, si aggiunge il potenziale contagio e la paura da esso ingenerata.

Sulla base di questa consapevolezza, che viene dalla conoscenza diretta e dal lavoro sul campo, una serie di associazioni particolarmente sensibili ai temi carcerari, hanno promosso l’adozione di misure dirette a decongestionare le carceri, sia a favore dei detenuti che del personale penitenziario.

Di fatto l’argomentazione si fonda sul nesso fra sovraffollamento e rischio di contagio: «Il sistema penitenziario italiano presentava tassi di affollamento considerevoli, che in alcuni istituti sfioravano il 200%, il che rendeva impossibile qualunque ipotesi di distanziamento sociale e molto difficile l’adozione delle più elementari misure di prevenzione» – segnala puntualmente Alessio Scandurra.

Il decreto-legge 29/2020 arriverà soltanto il 10 maggio e contiene norme che modificano le regole di accesso alla detenzione domiciliare inserendo una serie di deroghe. Cosa è cambiato? Ancora Scandurra chiarisce che «il 15 maggio, come riferisce il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sul suo sito istituzionale, i detenuti presenti erano 52.679, a fronte di una capienza regolamentare che al 30 aprile era di 50.438 posti.

I detenuti sono dunque calati notevolmente, sono 8.551 in meno rispetto a fine febbraio».

Quanto agli ultimi dati disponibili: «I casi totali in carcere fino al 7 luglio sono stati 287 con un picco massimo nella stessa giornata di 161 persone positive. Un numero contenuto, ma da non sottovalutare: in rapporto al totale della popolazione detenuta è infatti superiore, sebbene di poco, al tasso di contagio nel resto del paese».

Certo, i dati andavano nella direzione giusta. Ciononostante questi numeri non sono che la rappresentazione di un orientamento più incline al rispetto dei diritti fondamentali, ma non del pieno rispetto della vincolante sentenza Torregiani (Corte Europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, Causa Torreggiani e altri c. Italia, 8 gennaio 2013).

Il Coordinamento nazionale dei Magistrati di sorveglianza il 28 aprile con un comunicato “respinge con forza la campagna di sistematica delegittimazione, che in alcuni casi si è spinta fino al dileggio, proveniente da più parti, anche da autorevoli esponenti della Magistratura e delle Istituzioni, suscitata dalle scarcerazioni per motivi di salute di alcuni condannati, esponenti di pericolose associazioni criminali e per questo sottoposti al regime dell’art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario”.

L’innesco della retromarcia si deve all’opinione pubblica ossia al discorso circolante all’indomani del decreto-legge secondo il quale ci si sarebbe ritrovati ad avere i peggiori criminali liberi, e in particolare alcuni fra di loro, cioè coloro che più meriterebbero, unanimemente, di scontare pene senza fine, come i mafiosi. Si tratta di un caso esemplare di costruzione dell’opinione pubblica da parte degli attori – in primis mediatici – che imputano ad essa le principali caratteristiche dell’uso populista della giustizia penale.

Lo slogan delle “scarcerazioni facili” è stato al centro di una serie di “scoop” mediatici che hanno trovato posto in particolare presso le sale di “Non è l’Arena” e sulle pagine di Repubblica. Il programma diretto da Massimo Giletti il 26 aprile 2020 ospita

il Sostituto Procuratore di Napoli, Catello Maresca, il quale interviene sulla scarcerazione del boss Zagaria dopo l’introduzione di Giletti: “Io sono molto arrabbiato questa sera, Maresca, perché per arrestare e mettere in galera questi boss, lo Stato, i suoi servitori, fanno una fatica incredibile; e non è accettabile in uno Stato come il nostro che non si diano delle risposte in modo chiaro a chi deve impedire che questi boss escano”. Risponde Maresca: “Zagaria, io l’ho fatto arrestare più volte, condannare, l’ho mandato al 41bis quindi immagini quanto personalmente e umanamente possa essere rammaricato da tutto quello che sta accadendo …”. Dello stesso tenore ci sono state diverse altre puntate e interviste, o “inchieste” imperniate su questo o quel boss mafioso, che in particolare sul quotidiano La Repubblica hanno trovato larga eco. A pagare per il “ritorno a casa” dei boss sarebbe tra l’altro il Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) quindi, ne deduce accoratamente Giletti, in accesa consversazione con Basentini, capo del Dap, da se stesso: Questo signore, gli ho pagato anch’io il biglietto aereo: ho pagato coi miei soldi di contribuente…” A seguito di una serie di contestazioni Basentini si dimetterà. Seguito dal Direttore generale dei detenuti e del trattamento, Giulio Romano, reo di aver redatto materialmente la nota con cui si raccomandava alle direzioni degli istituti di segnalare ai magistrati competenti i detenuti con patologie pregresse, che avrebbero potuto essere particolarmente vulnerabili al virus.

Siamo a inizio maggio. “Da settimane chiedevamo che il capo del Dap si assumesse le responsabilità per i tanti, troppi errori compiuti in questi mesi. I numerosi appelli ad agire in favore di una situazione carceraria degna di uno Stato di diritto sono rimasti a lungo inascoltati, portando allo stremo gli agenti di polizia penitenziaria, il personale e le stesse persone detenute. Ora – conclude – è necessario fare scelte serie e lungimiranti per dare una linea di comando adeguata alla situazione di crisi” – afferma la Boschi.

“Le dimissioni del direttore del Dap Francesco Basentini non bastano a cancellare quanto successo in poche settimane tra carceri in rivolta, morti, evasioni e perfino mafiosi e assassini usciti a decine di galera. Il ministro Bonafede è il primo responsabile: dimissioni!”, le parole del leader della Lega Matteo Salvini.

Come scrive Andrea Cabiale: «Hanno fatto molto discutere, a livello politico e mediatico, le scarcerazioni di alcuni noti esponenti della criminalità organizzata, per ragioni legate all’emergenza sanitaria. Così, il governo – con il d.l. 30 aprile 2020, n. 28 – ha dapprima stabilito un aggravio dell’iter per l’adozione di simili misure, per poi, pochi giorni dopo, imporre rivalutazioni stringenti e fortemente contingentate dei provvedimenti già adottati. L’art. 2 d.l. 29/2020 costringe infatti un «monitoraggio continuo» delle decisioni che hanno disposto la detenzione domiciliare o il differimento della pena «per motivi connessi all’emergenza sanitaria», nei confronti, fra l’altro, dei condannati per partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso. La rivalutazione, il cui oggetto è la «permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria», dev’essere svolta dallo stesso organo che ha emesso il provvedimento e va di regola compiuta, una prima volta, entro quindici giorni dall’adozione della decisione e  «successivamente, con cadenza mensile».

Prima di procedere, il giudice deve acquisire il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, qualora si trattasse di soggetto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. Inoltre, è necessario sentire «l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale e acquisire dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato» potrebbe «riprendere la detenzione […] senza pregiudizio per le sue condizioni di salute».

Il 10 maggio col summenzionato decreto si prevede una nuova normativa volta proprio a fermare la scarcerazione dei boss che la decretazione precedente includeva. I titoli dei giornali principali lasciano affiorare l’orgoglio per un ritorno dello Stato a fare il suo dovere, a non perdere il duro lavoro compiuto dai suoi “servitori” etc. E si è poi assistito all’effettivo rientro in carcere di persone già beneficiarie della detenzione domiciliare, come nel caso di Zagaria sulla cui storia era stato costruito lo “scandalo” presentato a La7 (Non è l’Arena), che è rientrato in carcere a settembre dopo avere beneficiato della misura alternativa da aprile.

Ancor prima c’era stato un articolo de L’Espresso relativo ai domiciliari concessi per gravi motivi di salute a Francesco Bonura, passato dal 41bis alla detenzione domestica. A questo si ero aggiunto il caso di Pasquale Zagaria. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari aveva ritenuto sussistenti i presupposti di operatività della norma presentandosi il caso di una grave patologia tale da richiedere indifferibilmente cure adeguate. Riccardo De Vito, magistrato di sorveglianza di Sassari, ha ritenuto necessario il differimento della pena, posto che per Zagaria non era stato previsto un luogo di cura idoneo, e “«lasciare il detenuto in tali condizioni – si legge nell’ordinanza – equivarrebbe esporlo al rischio di progressione di una malattia potenzialmente letale, in totale spregio del diritto alla salute e del diritto a non subire un trattamento contrario al senso di umanità», non essendovi dubbio che «permanere in carcere senza la possibilità di effettuare ulteriore e “indifferibili” accertamenti equivale ad esporre il detenuto a un pericolo reale dal punto di vista oggettivo e a un’incognita di vita o morte del tutto intollerabile e immeritata per ogni essere umano»”.

Inoltre, tra magistratura di Sorveglianza (di Spoleto) e Corte Costituzionale è iniziato un tortuoso iter, appena conclusosi. Il Magistrato di Spoleto ha sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 2 del D.L. 10 maggio 2020 n. 29 nella parte in cui prevede che il Magistrato di Sorveglianza debba procedere a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19. Dopo la restituzione degli atti da parte della Consulta ai fini di una rivalutazione della questione alla luce della successiva normativa (L. n. 70 del 25 giugno 2020), ha continuato a giudicare rilevante e non manifestamente infondata la questione originariamente sollevata, invocando nuovamente l’intervento della Corte Costituzionale.

L’ art. 2 del D.L. n. 29 del 10 maggio 2020 nella sua formulazione originaria prevede un procedimento periodico ed automatico di revisione dei presupposti, giustificati dall’emergenza sanitaria, per la concessione di misure alternative alla detenzione nei confronti di detenuti condannati per gravi reati. Il problema è che la procedura non prevede alcun apporto da parte della difesa o dell’imputato sottoponendo il preposto a una serie di automatiche rivalutazioni della sua posizione.

Dunque “la lezione è che un ministro della Giustizia conferma fiducia al capo delle carceri (riconoscendosi nel suo operato) se 13 detenuti muoiono in rivolte stile anni 70. O se teorizza che l’ereditato sovraffollamento (all’epoca 12.000 reclusi in più) è illusione ottico-aritmetica, ricalcolando la quale ci sarebbe anzi ancora posto. O se a Strasburgo prima si scrive di 6.000 braccialetti disponibili, e poi però che non va interpretato alla lettera.

Ma non più se pm/giornali/tv autoproclamati antimafia scatenano fuorvianti polemiche, e ottengono controriforme à la carte, quando giudici di sorveglianza applicano la legge nel non far morire in cella detenuti (pure boss) bisognosi di indifferibili cure non assicurate da quel Dap che sbaglia pure la mail del tribunale” – scrive Ferrarella (Corriere della sera, 3/5/2020).

Inoltre, come evidenzia Stefano Anastasia, “A governare l’emergenza sono stati chiamati due magistrati di diversa generazione, ma di analoga esperienza professionale, maturata principalmente (se non esclusivamente) nei ranghi della pubblica accusa e specificamente nell’azione penale contro la criminalità organizzata. Due magistrati, il Presidente Petralia e il suo Vice Tartaglia, del cui valore non si può dubitare, ma che dovranno confrontarsi con un mondo complesso e forse a loro in gran parte sconosciuto.

D’altro canto, è bene ricordarlo, i detenuti in 41bis – di cui tanto si è discusso nelle scorse settimane – sono poco più dell’1% della popolazione detenuta e quelli a vario titolo coinvolti in associazione criminali poco più del 10%. (…)

13 morti non valgono due, tre, forse quattro assegnazioni al domicilio di vecchi capi mafia gravemente ammalati.

Sappiamo quanto pesi sulla realtà della giustizia penale il suo abuso populista, che ha nel carcere il suo totem. La resistenza alla necessaria misura deflattiva della popolazione detenuta in occasione della pandemia trova ragione in quella cultura politica”.

Questa supplenza del giudiziario rispetto al politico accompagna la storia della Repubblica, quanto meno dal 7 aprile sino a oggi. È lì che nasce l’espressione «giudice di scopo» e si cristallizza un sistema di «governo dei giudici» o di «giudizializzazione della politica» in cui alcune figure di magistrati, di solito inquirenti, assurgono al ruolo palingenetico di salvatori della patria, a seconda dei casi con riferimento alla violenza terroristica, alla corruzione politica o alla piovra mafiosa. A ben vedere, questo ruolo ha generato effetti reciproci: non è soltanto la pubblica accusa ad avere assunto le sembianze della politica o averne parzialmente occupato la sede, ma è la politica stessa che pare incorporare le movenze della pubblica accusa. In una triade al momento simbolicamente inscindibile paiono annodarsi politica (e decretazione sempre d’urgenza), magistratura (o, per meglio dire, procura della repubblica) e supposta “opinione pubblica” o “società”, uno spazio confuso cui ognuno dei due precedenti campi attribuisce un po’ ciò che è utile di volta in volta attribuirle, innescando a sua volta le condizioni per un feedback punitivo che fa da rilancio ad altri slanci giustizialisti e securitari.

Come scrive acutamente Patrizio Gonnella: «Quella securitaria è un’ossessione spesso ingiustificata. Una sicurezza invadente è una sicurezza mai mirata. L’orgia del controllo di massa è solo funzionale alla rassicurazione simbolica, alla costruzione di un modello illiberale di società, ma nulla ha a che fare con i bisogni reali di sicurezza individuale e comunitaria”.   

Riferimenti in ordine di menzione

http://www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=88003:stefano-anastasia-qil-sovraffollamento-aiuta-il-virus-lurgenza-e-svuotare-quelle-celleq&catid=220:le-notizie-di-ristretti&Itemid=1

https://www.euro.who.int/en/health-topics/health-determinants/prisons-and-health/publications/2020/preparedness,-prevention-and-control-of-covid-19-in-prisons-and-other-places-of-detention,-15-march-2020-produced-by-whoeurope

Coronavirus, in alcune carceri visite familiari vietate: non si calpestino diritti detenuti

https://ilmanifesto.it/carceri-prime-e-poche-misure-contro-il-contagio/

http://www.ristretti.it/commenti/2020/aprile/pdf12/comunicato_conams.pdf

https://www.la7.it/nonelarena/video/scarcerazione-boss-zagaria-catello-maresca-sostituto-procuratore-di-napoli-rammaricato-per-quello-26-04-2020-321612

https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/05/02/dap-basentini-dimette_ZImNRVRzUoEu9601ymnnBO.html

http://www.edizionipgreco.it/libri/arte-estetica/la-nostalgia-e-la-memoria.html

https://ilmanifesto.it/la-pandemia-nel-carcere-e-le-grazie-del-quirinale/

https://ilmanifesto.it/carcere-un-primo-passo-ma-ci-vuole-ben-altro/

https://www.antigone.it/upload/ANTIGONE_2020_XVIRAPPORTO%202.pdf

https://www.antigone.it/news/antigone-news/3314-il-carcere-alla-prova-della-fase-2-il-nostro-rapporto-di-meta-anno

https://www.sistemapenale.it/it/scheda/tribunale-sorveglianza-sassari-questione-di-legittimita-costituzionale-decreto-scarcerazioni-legge-10-maggio-2020-n-29

https://www.ildubbio.news/tag/riccardo-de-vito/

http://www.ristretti.it/commenti/2020/maggio/testi/rassegna_stampa_10_maggio.txt

https://ilmanifesto.it/carcere-luso-della-paura-e-la-sfida-per-le-riforme/

https://www.academia.edu/40555938/Il_laboratorio_della_giustizia_politica

https://www.antigone.it/upload/ANTIGONE_2020_XVIRAPPORTO%202.pdf

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