Le prigioni di oggi? Sono più illegali di quanto sarebbe la loro abolizione

di Luigi Pagano*, Corriere della Sera, 27 luglio 2021

E sempre più studiosi sposano la tesi “No prison”: il “castigo” da solo non serve. Un argomento come il carcere meriterebbe di essere affrontato in seduta permanente da parte del Parlamento sino a che non si trovasse una soluzione al problema. Perché di problema si tratta e anche scottante, come sottolineò l’allora presidente Giorgio Napolitano quando l’Italia venne condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamento inumano e degradante.

Lo è anche perché il carcere – a onta di quello che dovrebbe essere, ovvero il luogo di una pena che non riduca l’uomo a un oggetto e si adoperi per il suo reinserimento sociale – sbandiera pubblicamente i propri fallimenti. Il riferimento è non solo agli eventi emersi poche settimane fa – e parlo naturalmente della brutale aggressione subita dai detenuti a Santa Maria Capua Vetere preceduta, giova ricordarlo, dalla morte di quattordici persone durante le rivolte del 2020: altra circostanza terribile, immediatamente rimossa dalla coscienza collettiva – ma alle statistiche che indicano un tasso di recidiva post carceraria stabilizzatasi intorno all’80 per cento.

È chiaro che qualunque persona con un minimo di buon senso si preoccuperebbe eccome davanti a questi bei risultati. Primo, perché per ottenerli si spendono molti milioni di euro. Secondo, perché la giustificazione che si dà a questo fallimentare sottrarre una porzione di vita a delle persone – condannati ma anche imputati – consiste nel rifugiarsi nel “ma lo prevede la legge” o in un “vabbè, ma quale alternativa si propone?”.

Ora, a prescindere dal fatto che la legge principale dello Stato, la Costituzione, non precisa in nessun modo quale sia il “tipo di pena” da adottare, e ciò significa che se il carcere fosse perfino abolito del tutto nessuno potrebbe gridare all’incostituzionalità, il punto è che la legge di riforma penitenziaria, varata oltre 45 anni fa, immaginava una detenzione ben diversa da quella attuale. Formulata secondo i principi dettati dalla Costituzione, per qualsiasi pena il legislatore avesse deciso. Per questo dico oggi che pensare di abolire il carcere potrà anche essere, forse, una visione utopica. Ma questa era l’obiezione che veniva fatta anche a chi voleva abolire la forca o la decapitazione.

Decidere di riportare il carcere o le pene a ciò che la legge aveva stabilito è una cosa che sarebbe perfettamente alla portata degli uomini. Ma pochi la prendono sul serio. Di conseguenza il carcere vive per quello che dovrebbe essere, nel bene o nel male, ma quello che è non piace a nessuno. Immagino men che meno ai detenuti costretti, mentre la politica rimugina sui suoi dubbi, a vivere in carceri sovraffollate, a vedersi negati i diritti, a sentirsi defraudati della loro dignità umana quantunque siano colpevoli. E a sentirsi dire, da parte di chi la legge non l’applica, di essere stati condannati per averla infranta. Questione urgente e scottante, si diceva.

Ma temo che dopo la ventata di indignazione per i fatti ricordati poco fa, in realtà già distanti nella memoria dell’opinione pubblica, a insistere per portare avanti le riforme con la ministra Cartabia rimarranno anche questa volta in pochi. Quanto sarei felice se un giorno mi sentissi dire di aver sbagliato completamente questa previsione.

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