di Ilaria Boiano, Università di Roma Tre
Le misure alternative alla detenzione nascono con l’esigenza di far fronte alle intollerabili condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari – motivo di ripetute condanne in sede internazionale nei confronti dell’Italia[1] – con l’obiettivo di dare concretezza ai principi costituzionalmente garantiti di rieducazione, di reinserimento sociale del condannato e di rispetto dei diritti e della dignità della persona.
Al fine di garantire a tutti, a prescindere dalle risorse individuali, familiari e sociali sul territorio, l’accesso alle misure alternative, che sarebbero di fatto precluse, per esempio, ai senza fissa dimora, I Direttori degli Uffici interdistrettuali di esecuzione penale esterna, indicono procedure, ai sensi dell’art. 55 del d. lgs. n. 117/2017, nei territori di competenza per l’individuazione di enti disponibili all’accoglienza globale dei detenuti con poche risorse, ma in possesso dei requisiti per l’accesso alle misure alternative, al fine di favorirne il graduale reinserimento nel tessuto sociale[2].
1. La liberazione anticipata
Uno degli strumenti utilizzati nel 2013 per rispondere alle condanne della Corte EDU è stata la liberazione anticipata (articolo 54 ord. penit.), istituto già parte del sistema, sin dalla legge di ordinamento penitenziario del 1975.
Più che alternativa alla pena, la liberazione anticipata è istituto di natura premiale, tecnicamente configurato nei termini di una forma di “estinzione parziale della pena”[3], poiché si concretizza in una remissione di una parte della pena, che sottende la logica di incentivare condotte positive durante la detenzione prospettando vantaggi subordinati a un impegno circoscritto e a breve scadenza.
Il condannato può chiedere al magistrato di sorveglianza uno sconto di pena di 45 giorni ogni semestre in cui ha dimostrato di partecipare all’opera rieducativa, che deve produrre risultati effettivi, tangibili, oggettivi.
Tuttavia, per la carenza di risorse e mezzi, di fatto la valutazione della partecipazione rieducativa considera l’assenza di sanzioni disciplinari per ogni semestre[4].
2. La liberazione anticipata speciale
Questo istituto è stato introdotto dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 146 convertito con l. 19 febbraio 2014, n. 10 con finalità riparativa e di ristoro ai condannati con pena di espiazione dal 1° gennaio 2010- esclusi i condannati per reati di cui al 4 bis ord. penit. che hanno subito detenzione nelle modalità censurate dalla Corte EDU: si prevedono 75 giorni ogni semestre, ciò fino al 23 dicembre 2015.
3. L’affidamento in prova ai servizi sociali
L’affidamento in prova ai servizi sociali è la misura alternativa al carcere che più appare coerente con la finalità rieducativa della pena sancita dalla costituzione.
L’istituto trae la sua origine dalla probation, di origine anglosassone, dal quale però differisce perché è accessibile dopo la condanna penale. Nel nostro ordinamento è stato introdotto anche l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova previsto dall’articolo 168 bis codice penale, che consiste in un’astensione vera e propria dalla pena, proprio secondo il funzionamento della probation.
Le numerose modifiche legislative hanno limitato la funzionalità di questo istituto come strumento per abbattere il pericolo di recidiva, in adesione a una prospettiva promossa dal Consiglio d’Europa che invita gli Stati a realizzare un sistema di difesa sociale che contempli misure penali differenziate, bilanciando le esigenze di controllo della criminalità con quelle di trattamento dei loro autori.
La misura è regolamentata dall’art. 47 ord. penit., così come modificato dall’art. 2 della l. n. 165 del 27 maggio 1998, e consiste nell’affidamento al servizio sociale del condannato fuori dall’istituto di pena per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
La misura è prevista anche:
- dall’art.94 l. 309/1990 per quanto concerne i tossicodipendenti e alcoodipendenti
- dall’articolo 47-quater per i soggetti affetti da Aids o grave deficienza immunitaria.
Vi è poi una figura di affidamento in prova al servizio sociale per il condannato militare.
Il condannato può essere ammesso al beneficio dell’affidamento purché la pena detentiva inflitta non superi i tre anni: in questo caso il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, se la persona interessata è reclusa, e mediante l’intervento dell’ufficio di esecuzione penale esterna, se l’istanza è proposta da persona in stato di libertà.
La misura, articolata nelle prescrizioni che il magistrato delinea nel provvedimento, deve contribuire alla rieducazione del reo, assicurando la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. Non occorre l’osservazione di un mese se dopo il reato il condannato ha tenuto un comportamento che già consente il giudizio positivo sulla sua rieducazione e non pericolosità.
L’affidamento in prova al servizio sociale può essere concesso anche al condannato che deve espirare una pena non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio prognostico positivo.
Il magistrato di sorveglianza, per valutare l’ammissibilità dell’istanza, considererà quindi prima la pena da espiare residua, poi anche il tipo di reato per cui la pena è stata comminata: vi sono infatti tipologie di reati ritenuti ostativi, indicati all’articolo 4 bis ord. penit.
Anche in caso dei reati contemplati dall’articolo 4 bis il condannato può cedere i benefici penitenziari se il condannato:
- collabora o abbia collaborato con la giustizia
- in presenza di elementi che escludono l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata terroristica ed eversiva
- nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso accertata nella sentenza di condanna o l’integrale accertamento dei fatti e della responsabilità rendono comunque impossibile un utile collaborazione con la giustizia
- nei casi in cui se la collaborazione è rilevante sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62 numero 6) anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114, dall’articolo 116 comma 2 codice penale.
L’ostatività non opera qualora sia impossibile o inesigibile un’utile collaborazione[5].
In caso di reati ostativi cosiddetti di seconda fascia, è possibile accedere alla misura alterativa qualora non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata e terroristica o eversiva, acquisendo agli atti informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato o comunque di dettagliate informazioni dal questore.
Rileva poi ai fini dell’accesso alla misura l’esito positivo della osservazione della personalità condotta collegialmente per almeno un anno ai sensi dell’articolo 4 bis comma 3 bis per i detenuti autori di delitti dolosi.
L’accesso ai benefici penitenziari è precluso in caso di comunicazione da parte del procuratore nazionale o distrettuale antimafia circa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.
4. La detenzione domiciliare
La misura consiste nell’esecuzione della pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza e, solo in caso di donne incinta o madri di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, di case famiglia protette.
La pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall’articolo 4-bis della presente legge, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale.
La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza ovvero, per le donne in gravidanza o madri di prole di età inferiore ad anni dieci convivente:
a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente;
b) padre, esercente la responsabilità genitoriale nei confronti di figli minori di anni dieci conviventi, ove la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare loro assistenza;
c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali;
d) persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente;
e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.
La legge 9 agosto 2013 n. 94 ne ha ulteriormente esteso l’applicabilità eliminando gli automatismi che escludevano dal beneficio alcune categorie di soggetti, come i recidivi per piccoli reati, rendendo più agevole l’accesso per i condannati liberi al momento dell’irrevocabilità della sentenza, a meno che non siano autori di gravi reati, compresi i maltrattamenti in famiglia.
Detenzione domiciliare speciale – Consente alle condannate, madri di bambini di età inferiore agli anni dieci, di espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli. ( art.47- quinquies). (Vedi la scheda “Le donne detenute”)
Detenzione domiciliare per soggetti affetti da Aids o grave deficienza immunitaria
L’articolo 47-quater ord. penit., introdotto dalla legge n. 231/1999, consente ai soggetti affetti da AIDS o da grave deficienza immunitaria, accertate ai sensi dell’articolo 286-bis, comma 2 c.p.p., e che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell’assistenza ai casi di aids, la possibilità di accedere alle misure alternative dell’affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare anche oltre i limiti di pena ivi previsti.
Detenzione domiciliare pene non superiori a diciotto mesi
La legge 199/2010 consente l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superori ai 18 mesi (d.l. 211/2011, convertito con modificazioni dalla l. 9/2012).
5. La semilibertà
La semilibertà è la misura alternativa alla detenzione più contenitiva rispetto all’affidamento ai servizi sociali e alla determinazione domiciliare: la persona detenuta che vi accede ha un certo margine di libertà durante il giorno, essendo autorizzato a uscire dall’istituto di pena per dedicarsi ad attività lavorativa, anche non retribuita, o per dedicarsi ad attività formative e in ogni caso utili al reinserimento sociale.
Tutte le sere vi è l’obbligo di rientro presso l’istituto di pena.
Questo è uno strumento con cui si realizza il principio di progressione del trattamento penitenziario (art. 50 ord. penit.) ed è disposta alla luce dei progressi compiuti nel corso del trattamento in presenza di condizioni per il reinserimento, anche graduale, del soggetto nella società. Ne consegue la necessità di procedere a specifiche indagini dalle quali deve emergere in modo certo l’evoluzione positiva del trattamento penitenziario[6].
https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_21.page
Foto di Nubia Navarro (nubikini) da Pexels
[1]CtEDU, sez. II, sent. 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia; sez. II, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia.
[2] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_21.page.
[3]Flora G., Misure alternative alla pena detentiva, in Novissimo Digesto It., App., vol. V, Utet, 1980, p. 104 ss.
[4]Spaventi L., Ghezzi F., Le misure alternative alla detenzione, in Balducci-Macrillò, Esecuzione e ordinamento penitenziario, Giuffré, 2020, p. 560.
[5] Corte costituzionale, sentenza 27 luglio 1974, n. 357; Corte costituzionale, sentenza 1 marzo 1995, n.6.
[6] Cass. Sez. I, 9 aprile 2014, n. 20005.
I commenti sono chiusi, ma trackbacks e pingbacks sono aperti.