La moralità che serve allo Stato

di Sabino Cassese, Corriere della Sera, 6 luglio 2021

Carceri, bisogna sapere subito quanto siano estese le violazioni del diritto e della giustizia. La polizia penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (e in molti altri luoghi di pena), i carabinieri in caserme di Roma e di Piacenza, gli stessi magistrati (osservatori autorevoli come Luciano Violante e Guido Neppi Modona hanno lamentato il preoccupante aumento di magistrati coinvolti in indagini penali): che fare se i custodi della virtù si macchiano essi stessi di gravi colpe, spesso nei luoghi dove dovrebbe essere difesa la giustizia, abusando della propria autorità?

Il grande sociologo Max Weber ha scritto che lo Stato ha il monopolio dell’uso della forza, in vista dell’attuazione dell’ordinamento, aggiungendo, però, che tale uso deve essere legittimo. I manganelli adoperati a Santa Maria Capua Vetere erano gli stessi di quelli della polizia di Scelba: ma quest’ultima li adoperava (non sempre) per impedire illegittimità o reprimerle, nel carcere campano sono stati adoperati per arrogarsi un illecito potere di punire. Carabinieri e magistrati hanno in qualche caso commesso il tipo di reati che dovevano perseguire, dalla truffa allo spaccio di droga. I vertici della polizia penitenziaria, dichiarando la propria incolpevolezza perché ignoravano l’accaduto, hanno implicitamente rivelato la loro incapacità.

È ora bene che la giustizia venga restaurata e i colpevoli puniti, sollecitamente, ma senza venire incontro a sentimenti popolari. Inoltre, non dovrebbero farsi condizionare dalla rivolta dell’opinione pubblica, rifuggendo da quella “giustizia da cadì” che Max Weber criticava. Ma, indipendentemente dal corso della giustizia, che cosa farà lo Stato per ristabilire la sua moralità in futuro, per evitare il ripetersi di questi fenomeni? Ecco un piccolo elenco delle azioni necessarie in uno Stato ben ordinato.

Innanzitutto, quello che è accaduto dentro e fuori di caserme e carceri, i reati commessi da coloro che amministrano la giustizia, dall’ultimo secondino al più alto magistrato, sono casi isolati o mali diffusi? Bisogna sapere subito quanto estese sono le violazioni del diritto e della giustizia commesse dagli uomini e dalle donne che dovrebbero assicurarne il rispetto. Una inchiesta amministrativa comprensiva e accurata è necessaria.

In secondo luogo, siamo sicuri che alla macchina siano preposte le persone giuste? I magistrati sono selezionati e poi formati per esercitare le funzioni giudicanti. Si può ragionevolmente dubitare che siano in grado anche di guidare il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Altrimenti, avrebbero scelto meglio i loro collaboratori, avrebbero avuto linee di comando più funzionali, avrebbero saputo quel che accadeva nei penitenziari. E sarebbero stati informati del tentativo di occultare le responsabilità. Gli eventi recenti hanno mostrato un deficit di professionalità al quale va posto rimedio. Il ministero della Giustizia è un pezzo dell’apparato esecutivo; non può esser gestito da coloro che sono stati selezionati per sedere nelle aule di giustizia. Le dichiarazioni dei capi del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sono l’indizio che questa esondazione dell’ordine giudiziario è all’origine di molte altre illegittimità e inefficienze.

Terzo: c’è un deficit formativo. Chi, nelle caserme e nelle carceri, è in contatto con accusati e condannati dovrebbe conoscere quel che la Costituzione dispone sulla dignità di uomini e donne e quello che Bettiol, Leone, Moro intendevano quando, alla Costituente, scrissero che la pena non deve esser contraria al “senso di umanità” e deve “tendere alla rieducazione del condannato”.

Quarto: in questo ripristino della moralità dello Stato occorre che si impegnino anche i molti capaci e meritevoli addetti ai lavori, le stesse forze dell’ordine e gli stessi magistrati. È innanzitutto a loro che spetta l’onere di cercare i modi per autocorreggersi. Sono loro che vivono a contatto quotidiano con il malfunzionamento di quello che una volta si chiamava apparato repressivo dello Stato.

Magistrati e forze dell’ordine hanno il compito di difendere i cittadini. Ora si ha l’impressione che in qualche caso le parti siano invertite: i cittadini debbono difendersi da magistrati e forze dell’ordine. Bisogna correre ai ripari, ristabilire la moralità dello Stato, restaurare l’immagine del potere pubblico.

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