“La giustizia che umilia i detenuti è un pericolo per tutti noi”

di Orlando Trinchi, Il Dubbio, 3 maggio 2021

Intervista a Edoardo Vigna, co-autore del saggio “Vendetta pubblica. Il carcere in Italia”. “Una pena che sia solo vendetta pubblica e null’altro ha fallito il suo scopo”. La necessità di opporsi al giustizialismo penale per un completo reinserimento del detenuto nella vita della società rappresenta l’essenza del saggio “Vendetta pubblica. Il carcere in Italia” (Editori Laterza, 2020), del magistrato Marcello Bortolato e del giornalista del Corriere della Sera Edoardo Vigna.

Vigna, a cosa dovrebbe realmente tendere l’esercizio della pena, considerando anche quanto sancito dalla Costituzione?

L’articolo 27 stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, che con il tempo la giurisprudenza ha interpretato in senso più ampio di “risocializzazione”. Ciò che sorprende è che, dopo 72 anni, quell’idea venga ancora messa in discussione. La propaganda del populismo penale fa continuamente leva sulla visione retributiva della pena, del “male per male” miope, che usa slogan vecchi ma sempre efficaci come “Lasciamoli marcire in carcere”. Presto o tardi, le condanne finiscono. Il primo interesse di tutti è ridurre la recidiva.

“Buttiamo via la chiave”: questo il classico slogan del populismo penale. Cosa avviene, tuttavia, nel caso del detenuto cui non sono concesse misure alternative al carcere?

Le statistiche ci dicono che la recidiva in Italia è in effetti a livelli record: sette ex carcerati su 10 tornano a delinquere, ma sono solo due fra quelli che hanno espiato la parte finale della pena in misure alternative. La percentuale crolla dal 70 all’uno per cento tra chi che negli anni da detenuto abbia avuto modo di lavorare.

Come giudica le misure poste in essere durante l’emergenza Covid-19?

Le misure adottate fin da subito sono state efficaci ma quanto ai provvedimenti di legge, sono stati invece insufficienti e non hanno consentito una vera deflazione. La diminuzione dei detenuti si è avuta solo grazie al lavoro dei magistrati di sorveglianza che hanno cercato di applicare al massimo gli istituti normativi già esistenti. Il carcere non assicura il distanziamento sociale e il problema del contagio nelle galere è molto serio.

Perché si pensa che i tribunali italiani siano meno severi?

Una delle ragioni principali è il problema dei problemi della giustizia italiana: la durata dei processi. Questo non è solo un problema per l’imputato e per le parti in causa per i ritardi nell’ottenere una sentenza. Lo è anche per la percezione dell’opinione pubblica, che vede chi è sotto accusa attendere spesso fuori dal carcere l’eventuale condanna, e quando questa arriva – dopo anni – non ne ha coscienza. Ma i dati dicono che in carcere in Italia si va più spesso che in Germania – per fare un esempio – e si rimane più a lungo della media europea.

Altro aspetto spesso contestato: il diritto all’affettività dei detenuti…

Anche qui c’è un equivoco di fondo. Il diritto all’affettività contiene quello al sesso ma non lo esaurisce. Il punto è che l’affettività non può essere considerata un eventuale premio per chi si comporta bene. È una dimensione naturale dell’essere umano. Parte essenziale del concetto stesso di dignità. In queste settimane e in questi mesi di pandemia tanto ci lamentiamo di non poter abbracciare i cari e gli amici, ma pensiamo agli effetti di una detenzione che non permette di abbracciare nemmeno chi va a trovare i carcerati. Che uomo uscirà, dopo una carenza prolungata? Un uomo migliore, più sereno? E qual è l’interesse dei cittadini, in termini di sicurezza: che esca un uomo incattivito, che abbia visto tagliati tutti i suoi legami?

Sarebbe auspicabile, per superare le istanze punitive di un sistema carcero- centrico, adottare un paradigma di giustizia riparativa?

È un modello che ha nei concetti di accoglienza e di recupero del condannato la sua dimensione più autentica. In prospettiva, credo sia una delle strade da percorrere e immagino che tra cento anni possa aver avuto una implementazione forte che ci farà guardare al tempo odierno come a una fase superata.

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