Istruzione in carcere. Dalla laurea una seconda opportunità per i detenuti


di Davide Madeddu
, Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2021

Una laurea in carcere per una seconda chance. Dall’area politico sociale alle materie artistiche e letterarie passando per l’economia, la giurisprudenza e le discipline ambientali. È in crescita il numero dei detenuti che si iscrivono ai corsi universitari in carcere. I dati elaborati dalla Conferenza nazionale universitaria dei poli penitenziari parlano chiaro: si è passati passato dai 796 dello scorso anno agli attuali 1.340, che significa una crescita del 29,9 per cento.

Di questi, 896 sono gli studenti che frequentano corsi di laurea triennale (87%), mentre 137 frequentano corsi di laurea magistrale (pari al 13% del totale). Tra gli iscritti spicca l’incremento della componente femminile che, seppure con numeri ridotti, passa da 28 studentesse nel 2018-19 a 64 nel 2020-21, quindi con un incremento del 128 per cento.

A coordinare l’attività la Conferenza nazionale universitaria dei poli penitenziari che nell’ultimo triennio ha visto crescere le adesioni: gli atenei che aderiscono alla Conferenza sono passati dai 27 di tre anni fa agli attuali 32 mentre gli istituti penitenziari in cui operano i poli universitari sono passati dai 70 del 2018/2019 agli attuali 82. E presto ne, apriranno altri in Puglia e in Sicilia.

All’interno 196 dipartimenti universitari, che corrispondono al 37% dei dipartimenti presenti nei 32 atenei coinvolti. “È chiaro che c’è un incontro tra una domanda e un’offerta – commenta Franco Prina dell’università di Torino e presidente della Conferenza – e la domanda è sollecitata anche dal fatto che gli atenei vanno nelle carceri a fare orientamento e questo fatto suscita l’interesse delle persone che si incontrano”.

Le aree disciplinari più frequentate dagli studenti in regime di detenzione sono quella politico-sociale (25,4%) seguita dall’area artistico-letteraria (18,6%), dall’area giuridica (15,1%), dall’area agronomico-ambientale (13,7%), dall’area psico-pedagogica (7,4%), dal – l’area storico-filosofica (7,3%), dall’area economica (6,5%). In questo contesto nasce poi, soprattutto nei territori, quello che viene definito “l’interscambio tra università e carcere”.

“In Toscana, dove da dieci anni i poli penitenziari si sono consorziati nel polo regionale – dice Andrea Borghini, docente all’università di Pisa – si portano avanti diverse iniziative che riguardano i progetti per il miglioramento delle condizioni di studio degli studenti detenuti”. Attività che prevedono la “figura dello studente-tutor, le cui finalità sono quelle di sviluppare un rapporto peer-to-peer con gli studenti detenuti”, le giornate di orientamento per gli immatricolandi, “che stanno diventando una consuetudine particolarmente gradita per la popolazione penitenziaria e per gli stessi operatori carcerari”. Oppure, è il caso dell’università di Sassari che recentemente ha elaborato una parte specifica del Regolamento carriere studenti sotto il titolo Regolamento studenti con esigenze speciali.

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