Il giustizialismo non è stato inventato dai grillini

di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, Il Domani, 31 maggio 2021

Le polemiche di questi giorni seguite alla piena assoluzione del sindaco di Lodi Simone Uggetti, arrestato con accuse di corruzione nel 2016 e allora fatto oggetto di una violenta campagna di odio personale nella quale si distinse il Movimento cinque stelle, investe un tema assai serio: l’urgenza di rimettere al centro dell’idea di giustizia penale i diritti degli imputati a cominciare dalla presunzione di innocenza, principio che tutti – politici, giornalisti – devono riconoscere e rispettare.

Uggetti, così ha detto la sentenza, è per l’appunto innocente, per cinque anni è stato vittima due volte: di un’accusa infondata, di una vulgata giornalistica e politica che venendo meno a princìpi elementari di etica dei rispettivi ruoli, ne ha rappresentato e poi archiviato il caso come quello di un corrotto. Ma la discussione che si è aperta sul tema presenta un limite vistoso: un limite che si può sintetizzare come negazione della storia.

Il ritornello letto e ascoltato (quasi) dappertutto sui danni culturali e civili del cosiddetto giustizialismo suona più o meno così: l’Italia paga il prezzo di anni nei quali lo Stato diritto è stato ripetutamente sfigurato da una modalità di azione giudiziaria e da un clima di opinione che nel primo caso persegue e nel secondo racconta le ipotesi di reato, in particolare di reati connessi a ruoli politici, come delitti conclamati e gli imputati chiamati a risponderne come criminali accertati, e il copyright di questa deriva è dei Cinquestelle.

Ecco, grande assente di questa ricostruzione è la storia. Perché questo piano inclinato comincia molto prima della nascita dei grillini, che ne sono stati recentemente i principali beneficiari. Nasce trent’anni fa con le inchieste di Mani Pulite su Tangentopoli: segnate indiscutibilmente da vistose cadute “giustizialiste”, prima fra tutte l’abuso ricorrente della carcerazione preventiva e il suo utilizzo del tutto incostituzionale come mezzo coercitivo per ottenere ammissioni di colpevolezza dagli imputati. D’altra parte, anche qui è utile affidarsi alla storia, Mani Pulite non fu l’invenzione a tavolino di un gruppo di magistrati. Fu la reazione, almeno originariamente più che sana, a una profonda e diffusa degenerazione del costume politico: erano fatti, non astratti teoremi del procuratore Borrelli e compagnia che i partiti italiani si finanziassero illegalmente, che in Italia si fosse consolidato nel tempo uno stretto e sistematico legame corruttivo di reciproca convenienza tra politica ed economia.

Dunque una prima verità da ristabilire è che l'”antipolitica” esplosa trent’anni fa tra gli italiani e poi durata per decenni, alimento principale di innumerevoli inchieste giudiziarie e processi contro politici finiti in nulla di cui il caso Uggetti è solo un esempio vistoso, nacque come risposta punitiva, e a sua volta rapidamente degenerativa, verso una politica divenuta impresentabile.

La seconda verità è che non sono stati i Cinquestelle gli “allevatori” iniziali di questa abbuffata giustizialista. Sono stati, accanto a molti magistrati, i media di allora, e sono stati due partiti politici con nome e cognome – la Lega Nord di Bossi e il partito postcomunista – che quel terremoto cavalcarono e che di esso si avvantaggiarono abbondantemente. I Cinquestelle sono arrivati molto più tardi, e certo hanno poi superato in furia giustizialista questi loro “maestri”. Ma ad esaltare come atto “di liberazione” il lancio di monetine contro il capo dei socialisti Craxi nei giorni caldi in cui moriva la “prima Repubblica” non furono i grillini: a quel tempo – questa non è storia, è cronaca anagrafica – Di Maio e Di Battista frequentavano la scuola dell’obbligo.

I commenti sono chiusi, ma trackbacks e pingbacks sono aperti.