Doina Matei

di Xenia Chiaramonte, ICI Berlin

Nome: Doina Matei
Anno dei fatti: 2007
Condanna: omicidio preterintenzionale
Pena: 9 anni; semilibertà
Vittima: Vanessa Russo

Sembrava essere stato dimenticato l’omicidio involontario di Doina Matei nel 2016, quando, nuovamente, la gogna mediatica si accanisce contro di lei, appena uscita dal carcere e in stato di semilibertà.

Era il 2007 l’anno in cui la donna, di origini romene, sex worker già madre di due figli, ebbe un futile diverbio con Vanessa Russo, studentessa romana proveniente dal quartiere di Fidene. Entrambe ventenni, si trovavano alla stazione della metropolitana di Termini, laddove avrà inizio una banale lite circa chi avesse (inavvertitamente?) spinto l’altra per prima. Con istinto mal controllato e fatale precisione, Doina Matei colpisce con la punta dell’ombrello, e così perfora l’occhio di Vanessa Russo che subirà, di conseguenza, la recisione di una arteria cerebrale e morirà dopo 24 ore di agonia. Il dramma ha per protagoniste due donne della stessa età, i cui destini si sono incontrati, dando forma a una tragedia irrevocabile.    

Le cronache del tempo furono feroci, impietose, moraliste e marcatamente razziste. Hanno, senza mezzi termini, condannato l’intera condotta di vita di Matei, spiandone la vita precedente alla commissione del reato, evidenziando la bassezza dei costumi della donna e, in generale, bacchettando il suo stile di sopravvivenza mediante espedienti. Un testo del seguente tenore riassume i toni e il contenuto degli attacchi mediatici e del modello di processo a mezzo stampa che è stato imbastito nei confronti della donna: “Il suo pellegrinaggio da una retata all’altra, da una foto segnaletica a quella successiva, sempre in fuga dalla polizia, dai carabinieri, dagli sfruttatori che, a quanto si sa, non sono mai riusciti ad agguantarla e trasformarla in una delle tante, sventurate, schiave del sesso. Primo fermo a Modena, poi segnalazioni a Sassuolo, Tivoli, ancora Sassuolo e di nuovo Tivoli in una sorta di andirivieni incessante.

Nel 2005 finisce al centro di prima accoglienza e rimedia un decreto di espulsione ma riesce a bloccarlo con uno stratagemma molto usato e molto efficace: un anno di soggiorno per cure mediche dal maggio 2005 al maggio 2006. Dal gennaio scorso, con l’ingresso della Romania nell’Unione europea, non deve più preoccuparsi di essere espulsa.” (Repubblica Roma)

La povertà, il bisogno, le condizioni disagiate sono state, dunque, dipinte con ribrezzo come fossero squallide vergogne, o peggio, come se contenessero già una punizione meritata. Un po’ per l’efferatezza del gesto, un po’ per la giovane età delle vittime, ma anche perché la storia prestava il fianco a rigurgiti razzisti ed euroscettici, i telegiornali non spensero facilmente i riflettori puntati su questo caso di cronaca che, al contrario, affollò per mesi e mesi ogni media italiano, finendo per essere, anche per ritrovarsi, fra le curve della memoria anche per i più giovani.

Doina Matei, condannata a sedici anni di carcere, riesce a scontarne nove grazie alla buona condotta e alla richiesta, accordatale dal giudice di sorveglianza, della misura della semilibertà. In particolare – come si legge su Il Post – “Di giorno poteva lavorare in una cooperativa, la sera doveva tornare a dormire nel carcere femminile della Giudecca, a Venezia. Le erano stati concessi anche alcuni permessi-premio, sempre secondo quanto stabilito dalla legge, che le avevano dato la possibilità di dormire fuori dal carcere”.

Un giorno su un profilo Facebook, con un nome d’invenzione, Matei pubblica alcune foto che la ritraggono sorridente al mare in un momento piacevole presso il Lido di Venezia. Un’altra foto la ritrae al bar mentre sta per mangiare un dolce. A partire dal gennaio 2016, cioè l’epoca in cui le foto sono circolate, e i mesi a seguire, in cui sono state “scoperte” si riattiva nei suoi confronti un secondo processo di criminalizzazione, che si aggiunge a quello che la condannata aveva già subito prima del processo penale e della sua condanna per omicidio preterintenzionale, aggravato dai futili motivi.

Il tribunale di sorveglianza di Venezia ha stabilito che Matei dovrà fare ritorno al carcere della Giudecca; pare che proprio la pubblicazione di alcuni scatti postati da Matei su Facebook e, ancora di più, il loro rilancio sui quotidiani, sia stato alla base della revoca della semilibertà, precedentemente concessa alla donna.

Secondo Gramellini su La Stampa: “Nove anni dopo, già fluttua in semilibertà tra i canali di Venezia e sul suo profilo Facebook posta foto di se stessa sorridente al mare. Nove anni di carcere per un omicidio rappresentano la vergogna del legislatore italiano […]. Oggi però la questione sono le foto di felicità diffuse dall’assassina. Doina Matei ha tutto il diritto di essere contenta, visto che la legge glielo consente. Ma ha diritto di mostrare la sua contentezza al mondo, e quindi anche ai parenti della vittima, attraverso un social network?”. Altri commentatori hanno invece tentato di mostrare come, una volta scontato tutto il periodo in carcere – e affrontando, con rispetto delle norme, la “seconda fase” ossia quella della semilibertà (si noti: non della piena libertà) – al soggetto non rimane che aspirare a reinserirsi socialmente, con tutte le difficoltà che questo comporta e, con ciò stesso, inverare precisamente quanto contenuto nella volontà del legislatore e nella finalità della pena.

Questo tentativo, Doina Matei, ebbe sin dall’inizio la capacità di proporselo e di ricercarlo attivamente. Forse la giovane età, forse la consapevolezza che quell’omicidio, anche se ugualmente tragico nelle conseguenze (ovvero la morte di Vanessa Russo), il soggetto non se l’era figurato come diretta conseguenza della sua maldestra e fatale azione di lesione nei confronti della donna. Bisogna, infatti, sottolineare che il risultato della sua condotta non è stato giudicato intenzionale; la violenza è “sfuggita di mano”, essendo stata giudicata come specifica volontà (il dolo) della Matei solo ed esclusivamente quella di percuotere e ledere la sua vittima, ma non di cagionarle la morte.

Intuiamo da un articolo su Repubblica le speranze di Matei, che, assistita “fin dal giorno dell’arresto dall’avvocato Carlo Testa Piccolomini, già nel 2016 ha cominciato a reinserirsi nella società: “La fase riabilitativa […] l’ha sfruttata con dedizione. Ora Doina vuole solo essere dimenticata’ ”.

Anche avanzando una prospettiva laterale e critica rispetto al diritto, ossia un approccio sociologico nonché filosofico-giuridico, l’esito di questo caso dolente potrebbe non essere troppo diverso. A questo fine vale la pena di prendere a prestito le acute parole di Goffredo Buccini che tiene a precisare come “ciascuno può interrogarsi su un paradosso. Per una ragazzina due volte madre cresciuta in Romania tra violenze e abusi, una galera italiana, pur affollata e angusta, potrebbe essere diventata davvero un corridoio verso quella parola astratta, che farà sorridere i cinici, eppure ispira la nostra cultura giuridica: la redenzione.”

Link in ordine di menzione:

https://roma.repubblica.it/dettaglio/uccisa-nel-metro-arrestate-le-due-ragazze/1295251

https://www.ilpost.it/2016/04/13/cose-successo-con-doina-matei/

https://www.lastampa.it/opinioni/buongiorno/2016/04/13/news/il-caso-matei-1.36594706

https://roma.repubblica.it/cronaca/2019/06/26/news/roma_torna_libera_doina_matei_uccise-229680740/

https://www.corriere.it/opinioni/11_dicembre_01/buccini-pentimento-non-pentitismo_842e2ab8-1c07-11e1-8ed7-30f7808a816f.shtml

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