Detenzione dello straniero

di Ilaria Boiano, Università di Roma Tre

In questa scheda si approfondisce il trattamento penitenziario delle persone detenute straniere, contemplando anche la misura dell’espulsione laddove prevista dal legislatore quale misura alternativa alla detenzione, precisando che il sistema di espulsioni ne contempla molteplici, di natura giudiziaria e amministrativa, con specifiche forme di esecuzione che implicano la privazione della libertà personale all’interno dei Centri permanenti di rimpatrio, temi per il cui approfondimento si rinvia alle schede dell’ASGI-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.

Le difficoltà che incontrano gli stranieri nella possibilità di accedere alle opportunità che il trattamento offre sono di certo superiori rispetto alle altre persone detenute, a partire dalla considerazione che mancano sul territorio, fuori dall’istituto di pena, quei riferimenti familiari, sociali e lavorativi fondamentali per il trattamento penitenziario, che dovrebbe essere calibrato sui “particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto” e sulla rilevazione delle “cause del disadattamento sociale” e che dovrebbe avvalersi “dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive”, agevolando inoltre “opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia”, come si legge nell’ordinamento penitenziario.

L’insieme degli ostacoli ulteriori che la popolazione straniera in carcere affronta (costituisce il 33% di quella detenuta), è considerato come un supplemento di afflittività della pena[1]: anche l’accesso alle misure alternative, per esempio, formalmente esteso a tutti, nei fatti può essere limitato dalla condizione di straniero sul territorio, dalle conseguenti scarse competenze linguistiche e assenza di riferimenti familiari:  Lavoro esterno (art. 21); permessi premio (art. 30 ter); affidamento in prova al servizio sociale (art. 47); detenzione domiciliare (art. 47 ter); semilibertà (art. 48); liberazione anticipata (art. 54), sono tutti benefici e opportunità accessibili in presenza di riferimenti familiari, possibilità abitative, presenza di un lavoro prima dell’ingresso in carcere, legami sociali che consentano un percorso formativo e di risocializzazione esterna.

Riferimento per le buone pratiche elaborate e adottate negli istituti di pena per garantire alla popolazione straniera detenuta la piena attuazione del principio rieducativo della pena, ma anche nelle più recenti proposte di modifica legislativa, è la Raccomandazione CM/Rec(2012)12 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sui detenuti stranieri che enuncia i diritti e doveri dei detenuti inclusi i contatti con i loro rappresentanti consolari; le principali caratteristiche del regime penitenziario e del regolamento interno; le regole e procedure per fare richieste e presentare reclami; i diritti all’assistenza ed alla consulenza legale.

Il processo di adeguamento del trattamento penitenziario per la popolazione detenuta straniera parte dall’accesso a ogni tipo di informazione, da quella sui diritti e doveri, a quelle di ordine pragmatico quotidiano, in una lingua che si comprende.

Si invita gli ordinamenti a garantire il contatto con detenuti stranieri con altri della stessa nazionalità cultura, religione o che parlano la loro lingua, in istituti di pena che consentano di mantenere i legami con la famiglia presente sul territorio o comunque individuati tra quelli più facilmente raggiungibili.

In ogni ambito (dall’igiene, sicurezza, alimentazione, ove possibile nell’abbigliamento), bisogna rispettare le esigenze culturali e religiose dei detenuti stranieri.

1. La barriera linguistica

La difficoltà di comprensione della lingua italiana ha conseguenze sia sulla consapevolezza delle scelte processuali, sia sulla quotidianità della vita negli istituti di pena, nei quali la maggior parte delle attività ricreative e trattamentali all’interno del carcere sono svolte in italiano.

Sono previsti corsi di alfabetizzazione e di istruzione – in conformità con il principio sancito dall’art. 15 dell’Ordinamento – che sono un primo strumento prezioso per il superamento della barriera linguistica.

2. I rapporti con i familiari

La materia dei colloqui telefonici è disciplinata dall’art. 39 del Regolamento penitenziario del 2000, che prevede che le telefonate con congiunti e conviventi (ma anche con persone diverse) siano autorizzate, per i condannati definitivi, dal direttore dell’istituto; per gli imputati fino alla sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria procedente; e, nelle fasi successive del processo, dal magistrato di sorveglianza. Il Regolamento del 2000 non distingue tra chiamate verso utenze fisse e chiamate verso utenze di telefonia mobile, ma negli anni varie circolari del DAP vietarono le telefonate verso utenze mobili, in ragione della difficoltà di conoscere con precisione l’identità della persona chiamata.

La circolare del 26 aprile 2010 del DAP, constatata l’impossibilità, in molti casi, di “esercitare il diritto all’unione familiare” – ritiene “indispensabile rivisitare il divieto imposto rispetto alla effettuazione di telefonate verso le linee di telefonia mobile” e dispone che siano “consentite le chiamate ai telefoni cellulari, ai detenuti comuni di media sicurezza che non abbiano effettuato colloqui visivi né telefonici per un periodo almeno di 15 giorni”. Si avviano una serie di controlli sul destinatario delle telefonate, ma “in ogni caso, trascorsi 15 giorni dalla presentazione dell’istanza, ove si sia constatato effettivamente che il ristretto non ha fruito di colloqui né di conversazioni telefoniche sui numeri fissi”, le chiamate verso i cellulari siano autorizzate “anche a prescindere dall’ottenimento delle notizie eventualmente richieste agli organi competenti a conferma della titolarità del numero telefonico”.

3. La mediazione culturale

La figura del mediatore culturale in carcere è stata prevista in Italia dall’art. 35, II comma del Regolamento del 2000, che demanda il loro reclutamento anche a “convenzioni con gli enti locali o con organizzazioni di volontariato”.

Nella relazione del Tavolo 7 degli stati generali sull’esecuzione penale, coordinato dal Procuratore aggiunto della Procura presso il Tribunale Torino Pietro Borgna, si rileva come pesi “assai negativamente la scarsa presenza di mediatori culturali”, che hanno la funzione non di mero  interpretariato linguistico, ma anche di porsi come “tramite di conoscenza del mondo carcerario e di comunicazione con il personale dell’Amministrazione”[2].

4. La continuità del titolo di soggiorno

I detenuti stranieri titolari di permesso di soggiorno posso richiederne il rinnovo entro 60 giorni dalla scadenza direttamente dal carcere tramite l’Ufficio Matricola, delegando un funzionario dell’Istituto a rappresentare ed agire per conto e in nome dell’interessato.

Se il permesso è scaduto da più di 60 giorni, la persona straniera può comunque presentare il rinnovo invocando come causa di forza maggiore che ha determinato il ritardo proprio lo stato di detenzione, ma ciò in presenza di una dichiarazione degli operatori interni al carcere competenti all’inoltro della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, nella quale riconoscano di non essersi attivati per il rinnovo.

Nella pratica, accade che le persone detenute non sono a conoscenza della possibilità di rinnovare il loro titolo dall’interno del carcere e, a fine pena, si ritrovano in una condizione di irregolarità che sollecita immediatamente la decisione dell’espulsione.

Spesso senza soluzione di continuità, dal carcere la persona straniera viene trasferita presso i Centri per il rimpatrio, con la motivazione di dover procedere alla loro compiuta identificazione in vista dell’esecuzione dell’espulsione, così ampliando in modo ingiustificata la restrizione della libertà personale patita, ma anche vanificando il progetto individuale perseguito in carcere.

Foto di Max Flinterman da Pexels


[1] Stati generali dell’esecuzione penale, tavolo 7, coordinato da Paolo Borgna.

[2] Stati generali dell’esecuzione penale, tavolo 7, coordinato da Paolo Borgna.

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